Non colpiscono solo i vecchi le malattie reumatiche, anche i giovani ne soffrono. Oltre 300mila italiani lottano contro queste dolorose patologie invalidanti. A Milano, organizzato dalla Associazione lombarda malati reumatici (Alomar), una onlus attiva dagli anni Ottanta che ha sede presso l'ospedale Gaetano Pini, si è tenuto un incontro sui risultati raggiungibili con la prevenzione e la diagnosi precoce. «Sono molte le forme in cui si presentano queste patologie, talora di difficile diagnosi. I pazienti devono rivolgersi tempestivamente al reumatologo e non rischiare di avere una diagnosi tardiva», afferma Marco Broggini, delegato per la Lombardia della Società Italiana di reumatologia ricordando che si deve iniziare al più presto un trattamento adeguato. «Vanno evitate - aggiunge - lesioni e danni permanenti con conseguenti invalidità, causa di sofferenza del paziente e costi sociali importanti. Su ciò vanno quindi sensibilizzati soprattutto i medici di famiglia».
Malattie un tempo temibili come la febbre reumatica (o reumatismo articolare acuto, la causa più frequente un tempo dei vizi valvolari cardiaci) o la gotta (che un tempo poteva portare a morte per insufficienza renale) sono oggi perfettamente curabili e hanno perso quindi la loro aura di fatalità. Ma anche malattie impegnative come l'artrite reumatoide, il lupus eritematoso o la sclerodermia hanno visto migliorare la loro prognosi, non solo in termini di sopravvivenza, ma anche di minore disabilità e qualità di vita. I progressi scientifici hanno rivoluzionato le cure e favorito un più sapiente uso dei farmaci antireumatici ed immunosoppressivi. La terapia di fondo delle malattie immuno-mediate impiega agenti biologici (anticorpi monoclonali umanizzati) o sostanze sintetiche in grado di bloccare o selezionate popolazioni di cellule infiammatorie o mediatori prodotti da queste ultime (citochine). Ciò consente al reumatologo di controllare e guidare (modulare) l'attività del sistema immunocompetente, impedendo che sia responsabile di processi auto-aggressivi.
A partire dalla diagnosi inizia la cronicità e con essa le paure dei pazienti di perdere la propria autonomia e la possibilità di vivere una vita serena. «Il primo intervento dopo la diagnosi è prevalentemente farmacologico», spiega il dottor Oscar Massimiliano Epis, responsabile della reumatologia dell'ospedale Niguarda Cà Granda di Milano. «Quando la terapia non viene assunta con costanza e secondo le indicazioni del medico, si compromette il buon esito del trattamento. Farmaci innovativi, come quelli biologici, si dimostrano estremamente efficaci a lungo termine, ma solo se la terapia viene assunta con costanza ed in modo corretto. La paura degli effetti collaterali spinge sovente il paziente a non proseguirla, con il rischio che il danno si accentui e degeneri. In uno scenario ideale i pazienti dovrebbero parlare in modo trasparente di dubbi e preoccupazioni con il proprio reumatologo, per ragionare insieme sulla scelta terapeutica e su eventuali altri interventi da prevedere». I pazienti hanno un ruolo centrale nella gestione della loro malattia, supportati dall'uso di espedienti educativi e da tecniche di auto gestione, individuate dopo un'attenta valutazione da parte del terapista occupazionale degli effetti della malattia sulla loro vita come dolore, affaticamento, mobilità.
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