Il vizietto di casa Riccò pure la signora è dopata

Vania Rossi, compagna del romagnolo, campionessa di ciclocross, positiva al Cera. A luglio mamma, a novembre già vinceva, in gennaio il ko

Il vizietto di casa Riccò 
pure la signora è dopata

Dio li fa e poi li accoppia: è una battutaccia facile e scontata, ma di fronte a questa storia è anche molto difficile evitarla. Siamo ai confini della realtà, ma purtroppo è realtà: anche la signora Riccò, una giovane ciclista di 19 anni che non risulta esattamante moglie, ma comunque compagna e freschissima mamma del loro bambino, precipita nel vortice del doping.
Stessa famiglia, stesso mestiere, stessa sostanza: è l’ormai popolarissimo Cera, l’Epo di ultima generazione (o penultima, si dice già in giro), che da mesi sta sterminando diversi settori degli sport olimpici. Da quando i francesi hanno messo a punto un metodo infallibile per intercettarlo, gli atleti cadono come mosche. Tanto che ormai è molto difficile provare stupore. Eppure, questo caso di casa Riccò, riesce ancora a stordire. Il perché è abbastanza elementare: Riccò l’aveva combinata talmente grossa, andando a rovinare il Tour del 2008, subito dopo aver sollevato entusiasmi popolari con le sue vittorie, che nessuno avrebbe mai pensato ad una seconda puntata di questo genere horror. Almeno sotto lo stesso tetto, dentro le stesse mura domestiche.
Invece. Invece per questa brava gente niente è impossibile, tanto meno sfidare le più elementari regole del buonsenso. Per Vania Rossi risulta fatale il controllo del 10 gennaio, ai campionati italiani di ciclocross, corsi tra i sentieri di Segrate. Sin qui siamo nella norma: una corsa, un controllo, una buccia di banana. A rendere il caso letteralmente clamoroso è la cornice dentro cui l’episodio si snoda. Già doparsi per una gara di ciclocross è una bella impresa. Ma doparsi per una gara di ciclocross dopo quel che è successo in famiglia risulta un’impresa memorabile. Per due motivi. Cominciamo col primo: il capofamiglia è reduce dalle apocalittiche vergogne di una squalifica, peraltro attenuata in cambio di parecchie confessioni utili alla giustizia, e proprio fra un paio di mesi si accinge a tornare in pista con il capo cosparso di cenere. Non più tardi della settimana scorsa, lui per primo pronuncia parole come pietre, rinnegando i suoi errori e accettando il duro destino della risalita. Molto curioso, oggi come oggi, risuona un passaggio del suo doloroso atto di contrizione: «La cosa che più mi spiace è aver tradito chi credeva in me, primi fra tutti mia moglie e i miei genitori, all’oscuro di tutto...».
Evidentemente in famiglia ci sono difetti di comunicazione. Poco dialogo tra i coniugi. Lei non sapeva che lui usasse Cera. Ora apprendiamo il seguito: lui non sapeva che lei usasse Cera. Singolare, molto singolare. Dovremmo credere? Qui è difficilissimo credere a qualsiasi cosa. Qui è legittimo porsi un’altra domanda: e se invece il signor e la signora Riccò sapessero tutto l’uno dell’altra, esercitando tra l’altro anche lo stesso mestiere, con allenamenti congiunti, e semplicemente fossero bravi a raccontarcela?
Ma tutto questo, se vogliamo, è ancora niente. A rendere l’episodio di portata memorabile è anche il secondo motivo, molto più triste e avvilente, di natura squisitamente umana. Vania Rossi è mamma da luglio del piccolo Alberto. Non si tratta di fare del facile bacchettonismo, sostenendo che fa comunque un certo effetto vedere una neomamma dedita al Cera. Mettiamo pure in conto che l’atleta, padre o madre non fa differenza, obbedisca comunque a richiami particolari. Passiamo oltre, superiamo i limiti della celestiale icona mamma-bimbo, al di sopra di tutte le brutture del mondo. Restiamo pure al fatto agonistico. Anche in questo caso, c’è di che restare attoniti: risulta agli almanacchi che Vania Rossi rientra alle gare soltanto quattro mesi dopo il parto, in novembre (chi va in bicicletta sa cosa possa significare). Non solo. Torna e vince subito, a Modena, nella seconda tappa del Giro d’Italia di ciclocross.


Ora: per troppi anni abbiamo creduto ai miracoli. Per troppi anni abbiamo pensato che questi campioncini fossero capaci di cose disumane. Anche vincere a quattro mesi dal parto sembrava risultato incredibile. Difatti.

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