La voce più potente contro l’«apartheid globale»

Pochi poeti hanno avuto, con i loro versi e il loro appassionato impegno personale il successo e i risultati ottenuti da Dennis Brutus, figura leggendaria della poesia e della politica africana, scomparso il 26 dicembre a Città del Capo all’età di 85 anni. Nato nel ’24 a Salisbury (oggi Harare), dopo il college studiò Legge all’università, e per 14 anni fu insegnante in Sud Africa, partecipando alle campagne contro l’apartheid, soprattutto nello sport. Il governo gli vietò di partecipare a riunioni pubbliche e mise al bando i suoi scritti.
Nel ’63 fu arrestato a una manifestazione sportiva, e mentre tentava la fuga fu gravemente ferito. Appena guarito, fu condannato a spaccare pietre assieme a Nelson Mandela nel carcere di Robben Island, dove scrisse la sua prima raccolta di poesie, Sirene, nocche, stivali. Scarcerato dopo 18 mesi, formò un comitato il cui scopo era far bandire il Sud Africa dalle Olimpiadi finché non fosse stato abolito l’apartheid. E nel ’64 il Sud Africa fu escluso dai Giochi di Tokyo. Dopo il rilascio, Brutus fu espulso dal suo Paese e nel ’71 riparò negli Stati Uniti, dove divenne docente universitario e attivista dell’anti-apartheid, nonostante i tentativi dell’amministrazione Reagan di espellerlo e di negargli l’asilo politico. Nel ’90 anche Mandela fu scarcerato, due anni dopo fu abolito l’apartheid e nel ’94 Mandela divenne presidente del Sud Africa multirazziale.


Dennis Brutus ha pubblicato dodici raccolte di versi, tra cui Lettere a Marta, Poesie da Algeri, Una semplice brama, Poesie cinesi, Tensioni e Ostinata speranza. Fino all’ultimo ha fatto della sua vita una missione, una battaglia contro «l’apartheid globale» dei nostri tempi, contro la povertà diffusa, l’ingiustizia e la ricchezza concentrata nelle mani di pochi.

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