Le voci su Thai fanno volare Alitalia

Molte le difficoltà normative per le integrazioni tra compagnie straniere

Paolo Stefanato

da Milano

Una frase, poi smentita, del vicepresidente della compagnia thailandese Thai Airways, ha provocato una rincorsa all’acquisto delle azioni Alitalia, che ieri ha fatto faville in Borsa: sono stati scambiati 127 milioni di titoli, pari al 9,21% del capitale, provocando in chiusura un’impennata del prezzo del 4,6%, ma con punte superiori; il progresso del titolo nella settimana è stato del 15%.
La vicenda Thai ha qualche stranezza: non si è trattato di una voce o di un’ipotesi, come spesso è accaduto nell’ultimo periodo, ma di una dichiarazione del vicepresidente Wallop Bhukkanasaut nel corso di un’intervista alla Reuters di Osaka. Ha parlato di «trattative informali» con Alitalia per una possibile partnership. Dopo qualche ora la smentita dalla Magliana con una nota formale: «Non è in corso alcun contatto». Difficile capire dunque di che cosa si tratti; Bhukkanasaut ha parlato in particolare di alleanza «sulle rotte», quindi è probabile che i colloqui, se ci sono, siano di natura commerciale. La Thailandia non è tra le principali destinazioni mondiali, né l’aeroporto di Bangkok è un grande hub come, per esempio, Hong Kong. Un rapporto societario forse non avrebbe grande senso.
Ma un titolo speculativo come quello dell’Alitalia è «onnivoro», e ha colto immediatamente l’occasione. Dalle sale operative sono scattati ordini di acquisto e a fine giornata, in un incessante scambio di azioni, è passata una quota importante del capitale. Nelle ultime settimane, dopo che il governo ha ufficializzato la ricerca di un partner, si sono infittite le voci su alleanze in Cina ed Estremo Oriente, ma finora nessuna ha trovato la minima conferma.
Andrebbero comunque fissati alcuni punti. Primo: l’Alitalia è una compagnia in forte crisi e chi dovesse entrare nel suo capitale si troverà a dover mettere mano al suo risanamento, con tutti i problemi finanziari e, soprattutto, sindacali che questo comporta. C’è un possibile partner che si possa assumere a cuor leggero queste responsabilità? Alitalia dovrebbe rappresentare un vero affare per spingere uno straniero a venire in Italia col rischio di essere subito bloccato dai lavoratori.
Secondo: reti di collegamenti a parte, una fusione tra due compagnie ha senso se si riescono a creare forti sinergie di costi. Due compagnie molto lontane difficilmente potrebbero agire su questa leva.
Terzo: le normative internazionali rendono molto complesse le operazioni sul capitale. Una compagnia extracomunitaria, per esempio, non può acquisire più del 49% di una compagnia comunitaria. E anche tra compagnie europee le operazioni sono complicate: se Air France e Klm, per fondersi, hanno dovuto creare una holding comune e mantenere l’autonomia delle società operative, questo è dovuto essenzialmente all’intestazione dei diritti di volo intercontinentali, che si basano su accordi bilaterali tra i Paesi e quindi non possono essere compravenduti con le compagnie cui appartengono.
Allo stato, per l’Alitalia l’unica prospettiva concreta resta l’aggregazione con Air France, e qui si misurerà la capacità del governo di ottenere le condizioni migliori per un’operazione che per l’Italia rischia di essere perdente su tutta la linea.

Non va dimenticato infine che in Borsa l’Alitalia vale poco, all’incirca 1,2 miliardi, e che, se qualcuno fosse veramente interessato, non sarebbe né difficile né costoso posizionarsi con una quota alle soglie di un’Opa.

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