Vogliamo quella firma per Palombo

C’è una bandiera nel calcio. C’è ancora una bandiera: i tifosi della Sampdoria pensavano di averla ammainata definitivamente quando Roberto Mancini lasciò Genova per la Lazio. Non potevano sapere che un giorno sarebbe arrivato un certo Angelo Palombo da Fermentino. Era poco più che un bambino, un assaggio di serie A nella Fiorentina allenata, guarda caso, da Mancini. Ieri contro il Napoli due gol ed un’unica dedica, per la sua squadra, per i suoi tifosi, per la sua vita. Angelo, con quella faccia pulita e quel sorriso sornione, si è costruito qui, e dà tutta l’impressione di non volersene andare neanche se a chiamarlo fossero Fiorentina o Roma, o ancora di più Milan o Inter. In questa Samp ci brillano gli occhi per le giocate di Cassano e i gol di Pazzini, ma ricordiamoci che lì dietro c’è qualcuno che, nonostante una stagione tormentata dagli infortuni, tiene in piedi la baracca. Orgoglioso della sua fascia di capitano. Prendiamo ieri: dopo quella seconda punizione che ha bucato Navarro, la sua esultanza sotto la gradinata Sud è di quelle che un cuore blucerchiato non dimentica. Di quelle che ti fanno correre un brivido lungo la schiena. Il messaggio è stato chiaro: «Voglio restare qui». Quel cuore disegnato nell’aria con le dita, la mano che si è battuta il petto.

Eppure quel contratto non ha ancora le due firme necessarie: perderlo per poco questa stagione o per niente alla fine del prossimo campionato sarebbe dilapidare un patrimonio. Non solo calcistico, ma anche umano. Angelo è il più amato.

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