Politica

Vogliono comprarsi l’Italia in saldo

Vogliono comprarsi l’Italia in saldo

di Claudio Borghi

Sempre peggio: usurai alla porta e maestrini francesi in cattedra senza nemmeno avere la licenza elementare. La settimana in cui i crolli dei mercati hanno salutato il nuovo «asse a tre» dando la precisa impressione di un Monti riuscito nella difficile impresa di saltare sul carro dei perdenti, non poteva che chiudersi con lo spettro dell’intervento del Fondo monetario internazionale e le lezioni non richieste di Sarkozy che ci ammonisce di fare i compiti («Spetta all’Italia fare quello che si è impegnato a fare»). Secondo un’indiscrezione raccolta da la Stampa il Fmi starebbe progettando un pacchetto di aiuti da 600 miliardi di Euro per l’Italia. Posto che anche il semplice fatto che possano esistere «indiscrezioni» buttate lì su cifre pari al Pil del Messico è un (brutto) segno dei tempi che stiamo vivendo, stiamo al gioco e vediamo cosa vorrebbe dire.
Il Fondo monetario internazionale (rifornito anche con i nostri soldi) è una specie di commissario straordinario mondiale: si avvicina ai paesi che sono in difficoltà, gli presta del denaro e in cambio impone condizioni tassative da rispettare per rientrare dal debito. Vista in positivo è un’attività meritoria di aiuto internazionale, vista in negativo è uno strozzinaggio su scala planetaria dove si spremono all’osso gli incauti paesi che sono stati imprudenti con le loro finanze. Un commissariamento in piena regola al confronto del quale l’attuale invadenza europea sembrerà discrezione virginale. Piccolo problema: quando il Fmi presta soldi ad un paese, quel credito diventa privilegiato rispetto a tutti gli altri, quindi in pratica ci ritroveremmo un creditore che avrà diritto sulle nostre ricchezze superiore addirittura a chi detiene titoli di Stato. Se ne ricordano bene in Argentina: bancarotta per tutti tranne che per il Fmi. Secondo piccolo problema: nemmeno il Fondo monetario internazionale può spendere tutti questi soldi. Secondo la Stampa, la cifra monstre sarebbe data per un terzo dal Fmi, per un terzo da «accordi bilaterali» e per un terzo dalla Bce. Mancherebbero gli alieni e poi la squadra sarebbe completa. E questo plotone di esecuzione sarebbe addirittura «una carta in più» a disposizione di Monti. Che sia la carta del consenso per l’espianto degli organi in vita però non viene specificato. Intanto in Europa il duo Merkozy, noto per non aver finora capito alcunché delle ragioni della crisi, sta marciando spedito verso tentativi di «maggior integrazione», con trattati firmati tra i singoli paesi. Sarkozy si mosse bene nel 2008 ma adesso sembra un pugile suonato. Nonostante ciò pontifica ed ammonisce. Sanzioni pesanti ed automatiche per chi sgarra, unioni fiscali, insomma, una devoluzione di sovranità in piena regola. Il tutto senza nessuna certezza né di garanzia sul debito né di risolvere il problema della divergenza delle economie. E con quale autorità un governo che finora non ha comunicato nemmeno i sottosegretari potrebbe contrattare perdite di sovranità? Potrebbe poi farlo un parlamento, ormai proiettato verso la fine della legislatura e l’arraffo del vitalizio, senza chiedere l’opinione degli italiani con un referendum?
Non pigliamoci in giro: noi finora non abbiamo ricevuto un centesimo da Germania e Francia e per adesso non dobbiamo loro nulla, anzi, i loro stessi titoli si stanno avviando verso la stessa china. Se costoro si vogliono buttare a fondo ben legati assieme con un pietrone al collo non dobbiamo per forza seguirli. Monti lodava un anno fa le misure fatte prendere alla Grecia: i risultati si sono visti. Noi possiamo ancora scegliere da liberi e decidere che, senza garanzia totale sul debito da parte della Bce, abbandoniamo la nave dei suicidi e ci riprendiamo la nostra valuta, con il bene e il male che ciò comporta.

Se invece aspetteremo di avere lo strozzino in casa non potremo più decidere alcunché (come ha ben sperimentato Papandreou quando ha osato pronunciare la parola «referendum») e sarà commissariamento permanente, fino alla fine dei nostri averi.

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