RomaCè un partito evanescente, subdolo, rarefatto, senza simbolo né tessere, senza voti né consensi ma forte, fortissimo. Trasversale, composito, eterogeneo e variopinto, il movimento riunisce tutto e il contrario di tutto grazie a un mastice super potente: lantiberlusconismo. Il suo acronimo potrebbe essere «Pri», Partito dei reazionari italiani. Movimento strano e strambo, questo, in grado di tenere insieme i diversi, persino gli opposti: lerbivoro e il carnivoro, il bianco e il nero, lalfa e lomega, il principio e la fine. Tutti uniti però nel «no». «No Cav». Nessuno vuole Berlusconi. Nessuno vuole fare le cose che dobbiamo fare. È un partito privo di organigrammi ma che si muove allunisono quando si tratta di boicottare il Cavaliere e le riforme. Tiene insieme la Camusso e la Marcegaglia, Bersani e Fini, Vendola e i poteri forti, siano essi banchieri, imprenditori o finanzieri. Sono i reazionari del «bisogna fare» ma che poi sabotano il governo quando si tratta di «fare». Sono quelli dell«occorre sciogliere i nodi antichi» ma che poi allatto di farlo si oppongono perché i nodi fanno comodo.
La lettera dintenti che il governo ha spedito in Europa indicando le riforme da attuare è stata applaudita allestero ma bocciata in Patria. E proprio leuromissiva ha smascherato uno ad uno i reazionari di casa nostra.
Sulla previdenza, sistema destinato al collasso se non si aumenta letà in cui andare in pensione, Berlusconi ha promesso di metterci mano: riposo a 67 anni a partire dal 2026. Apriti cielo. La Camusso sè imbufalita: «Non si tocchino i lavoratori»; Bersani ha detto la sua: «Il nostro sistema regge, anche se dobbiamo fare qualcosa di più»; la Marcegaglia è stata tiepidina: «Discutiamo con la Camusso»; lItalia dei valori ha spostato il tiro: «Invece delle pensioni tagliamo la casta»; lUdc sè lagnato: «Sul tema, nella lettera cè poco o nulla»; i vendoliani si sono scandalizzati: «Solo misure demagogiche».
Sul lavoro, capitolo in cui lItalia è al top in tema di rigidità, il governo ha indicato la via duscita auspicata da anni da tutti: maggiore flessibilità e licenziamenti con «una nuova regolazione per quelli per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato». Sia mai. Fini sè storto: «Così si moltiplica il tasso di disoccupazione»; la Camusso ha ringhiato: «Saremo in piazza a dicembre»; Di Pietro ha gettato benzina: «Così si innesca una bomba»; Casini ha sviato: «Le regole di oggi funzionano, meglio far ripartire la crescita»; Vendola ha fatto il maestrino: «Lo avevamo detto che il Paese stava andando alla deriva»; Bersani ha sputato pezzi di sigaro: «No, la proposta del governo non ha niente a che fare con gli interventi per rendere più flessibile il mercato del lavoro»; la Marcegaglia è stata tiepidina: «Discutiamo con la Camusso».
Sulle liberalizzazioni e le privatizzazioni, posto che tutti hanno sempre sottolineato che il nostro Paese sia più simile a uno Stato socialista, il governo ha garantito liberalizzazioni delle professioni e dei servizi pubblici locali in nome di una maggiore concorrenza; e poi vendita del patrimonio pubblico per racimolar quattrini. Si fa? No perché Vendola si sa come la pensa: «Privatizzare lacqua? È una bestemmia contro Dio»; Si potrebbero privatizzare gas, trasporto ferroviario regionale, servizi pubblici locali, acqua, poste, orari e giorni di apertura dei negozi, assicurazione infortuni, telecomunicazioni ma come sempre ci si imbatte con mille obiezioni e boicottaggi. Diranno: «Siamo daccordo, discutiamone», ma poi un secondo dopo «vendere adesso vuol dire svendere» o «meglio il gas ma lacqua no», «meglio i bus ma il gas no», «meglio il treno ma il bus no». E poi tutti a braccetto a sputare sul Cavaliere: da Grillo a Della Valle, da Montezemolo agli Indignados. Limportante è criticare e non cambiare nulla.
Insomma, la grande opportunità di Berlusconi, quello di fare ciò che lEuropa cimpone, si frantuma nei mille «niet» che gli piombano sulla testa per ogni capitolo intenda aprire. E i tanti militanti del Pri danno fiato alle trombe delle critiche.
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