Il voglioso Don Giovanni e la povera Butterfly appassionano gli spettatori di Macerata

Tanti anni fa, in un ingorgo di auto, a Macerata, sorpassandomi, un pedone mi avvertì: «Deve avere un po’ di pazienza, perché è la festa dell’opera». Adesso che si chiama Festival ed è un prelibato insieme di rappresentazioni e incontri, il clima è rimasto lo stesso, civile e felice. Il direttore artistico Pier Luigi Pizzi (nella foto tonda) dà ogni anno un titolo, che dà un’angolazione per riflettere sulle opere, questa volta l’inganno. Sulla parola ci ha vertiginosamente informati in una conferenza d’apertura Philippe Daverio; poi, nel piccolo teatro Lauro Rossi, Pizzi ha presentato il Don Giovanni di Mozart. Quasi di Mozart-Pizzi. Perché tutto è sconvolto e sconvolgente, e apparterrebbe al genere degli spettacoli provocatori, se non fosse che nasce da una sofferta meditazione sulla partitura e da un’urgenza di vita. Non ci sono più luoghi ed epoche: in uno spazio artificioso e vuoto, ma emozionante per bellezza ed ingegnosità, si ripresenta, ossessivo, un letto bianco semidisfatto; là i desideri sessuali, accesi da Don Giovanni, prendon corpo continuamente; il seduttore non ha bisogno di pensiero perché le donne, da lui infoiate, si mostrano vogliose, e più che astuto, si mostra appiccicoso. Persino Donna Elvira, che pur l’insegue come moglie abbandonata, arriva al coito addirittura con il servitore di lui Leporello e inaspettatamente nella famosa scena del catalogo con le conquiste del padrone.
Proprio con Leporello Don Giovanni ha il vero intenso rapporto, continuo, da ragazzacci alla Tom Jones, lanciati all’avventura; scherzano, si beffeggiano, si rotolano. E prima di discendere all’inferno, Don Giovanni abbraccia l’amico in un congedo toccante.
Compagnia giovane disinibita e raffinata, con i due protagonisti scatenati Ildebrando d’Arcangelo ed Andrea Concetti, una magnifica Carmela Remigio Donna Elvira ed, in diversi gradi di maturità, Myrto Papatanasiu, Manuela Bisceglie, Marlin Miller, William Corrò, Enrico Iori. Riccardo Frizza li lascia cantare troppo a tutta voce, e tiene l’orchestra un po’ troppo compatta, con qualche cambio di tempo imperscrutabile. Qui molti applausi. Altrove non si sa: ma potrebbe essere una produzione «in progress» molto stimolante.
Pizzi ha firmato anche, quietamente, regia, scena e costumi di Madama Butterfly, a ridosso del mitico muraglione nello Sferisterio affollato e plaudente. Elegante signore dello spazio, ha disseminato anche attenzioni sottili psicologiche nella maldestra occidentalizzazione della povera giapponesina illusa dall’ufficialetto americano, e nella sua fatale e sontuosa regressione.

Raffaella Angeletti ha cantato con saggezza e recitato eccellentemente, spalleggiata da una Suzuki di talento, Alessandra Vestri; con loro Massimiliano Pisapia molto tenore e un lungagnone alla Gary Cooper molto espressivo, Claudio Sgura, un notevole Enrico Iori, altri bravi ed un coro in gran forma. Daniele Callegari in questo luogo è a casa sua, e ci si può fidare.

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