Volontà ribelle, nobili ideali e tristi compromessi. Era il volto liberal degli Usa

Redford ci ha lasciato una serie memorabile di uomini in lotta anche con se stessi, sconfitti dal sogno americano diventato incubo

Volontà ribelle, nobili ideali e tristi compromessi. Era il volto liberal degli Usa
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"È un uomo pericoloso. Legge libri" si dice a un certo punto della storia di un modesto impiegato della Cia, nome in codice Condor, unico rimasto in vita della centrale di intelligence in cui lavorava. Dietro il "servizio di pulizia" con cui tutti i suoi colleghi sono stati spietatamente eliminati, c'è un servizio deviato interno alla Cia, che non vuole essere intralciato nei suoi complotti in giro per il mondo. I tre giorni del Condor si chiamava il film in cui quel giovane analista, il cui compito era, appunto, leggere libri, polizieschi, spy stories e persino fumetti, e metterne in rilievo incongruenze e/o veridicità a fronte di un possibile riutilizzo operativo, veniva catapultato in una corsa contro il tempo e che aveva come posta in gioco la sua vita e il ristabilimento della verità. Il film si chiudeva con Condor ancora vivo e reduce dall'aver raccontato tutto al New York Times. "Ma sei sicuro che lo stamperanno?" gli diceva ironico uno dei suoi capi all'Agenzia. E sei sicuro, lo aveva messo in guardia non molte ore prima un killer a pagamento, sempre della Cia, chiamato a ripulire gli "incidenti di percorso" di quest'ultima, "che un giorno una persona che conosci e di cui ti fidi non ti si avvicinerà per strada invitandoti a fare un giro in macchina con lui? Perché non te ne vai in Europa e scompari?". "Mi piace il mio Paese e voglio vivere qui" era stata la risposta. Condor era Robert Redford, ovvero il volto liberal, seduttivo e disarmante, dell'America.

Adesso che è morto a 89 anni (era nato nel 1936) non sorprende che nella sua carriera ci sia un sottile filo rosso in cui è lecito cogliere l'identikit, ideologico e sentimentale, di un particolare tipo umano che era tutt'uno con gli ideali democratici made in Usa: difesa delle libertà fondamentali, diritti civili, impegno non solo sociale, senso delle istituzioni, trasparenza pubblica, lotta alla corruzione e alla doppia morale, disobbedienza civile quando le circostanze lo richiedano. E tuttavia, senza quell'ottimismo zuccheroso, ancora fine anni Trenta, tipo Mr Smith va a Washington, di Frank Capra, con James Stewart, giovane idealista uscito dai boy scout e eletto deputato dalla "sana" provincia in un Congresso dove si annida la corruzione, ma con la amara consapevolezza che non sempre, anzi, quasi mai, vince il più puro e che non sempre, anzi quasi mai, essere il più puro vuol dire essere il migliore. Già in Come eravamo, che è un film del 1973, e dove la smagliante bellezza di un Robert Redford in uniforme lasciava annichilita Barbra Streisand, c'era il prezzo da pagare. Scrittore di talento, il suo personaggio sacrificava la sua arte sull'altare dell'industria e del successo, laddove la sua compagna "rivoluzionaria", la Streisand, appunto, si intestardiva nel restare fedele a una certa idealità di condotta, per dirla in termini conradiani. Ma da Il candidato, che è addirittura del 1972, a Spy Game che è del 2001 a Leoni per agnelli che è del 2007 a La regola del silenzio, che è del 2007 a Truth. Il prezzo della verità, che è del 2015, si scivola sempre fra ideali traditi e ideali sbagliati, fedeltà alle palingenesi giovanili e accettazione delle regole del gioco, volontà ribelle e compromesso. Di volta in volta, uomo politico, agente segreto, professore di storia, avvocato in difesa dei più deboli, ma con alla spalle un passato di terrorista rivoluzionario, giornalista e anchorman televisivo, Redford ci ha lasciato una serie memorabile di uomini in lotta anche con sé stessi, quasi sempre sconfitti, ma quasi mai domi contro quelle che sono le ragioni più profonde del potere, politico, economico, militare, americano, l'intreccio sinistro di volontà di potenza, dominio indiscriminato, assoluta mancanza di scrupoli.. L'unica eccezione, forse, è Tutti gli uomini del presidente (1976), ovvero il film sullo scandalo Watergate, dove a essere vittoriosi sono i due giornalisti che lo rivelarono (Redford è Bob Woodward, mentre Carl Bernstein è Dustin Hoffman), e che però, non solo con il senno di poi, è la storia di un complotto politico interno, una "gola profonda" che è alla base dell'inchiesta. Ancora, e non solo con il senno di poi, il Watergate fu, per usare una metafora di Winston Churchill, "l'uccisione del porco sbagliato", perché Nixon era stato un ottimo presidente

In mezzo, comunque, c'è una carriera prestigiosa, con titoli che lo sono altrettanto, ci sono due mogli e quattro figli, lutti e dolori, c'è la fondazione di un festival , il Sundance Film, ci sono prese di posizioni pubbliche mai eccessive, ma sempre pertinenti.

E in fondo, anche per Redford vale la morale che era alla base di quel Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, che interpretò sullo schermo da par suo: inseguire il sogno americano, senza sapere bene quando e se si sarebbe rivelato un incubo.

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