Volto e movente dei banditi nascosti in quattro rebus

Dalla rapina simulata al cane sparito; dai dubbi sul riscatto, alle parole misteriose del padre

nostro inviato a Parma

C’è un puzzle da ricomporre. Ma qualche tassello manca, qualcun altro forse è addirittura sbagliato. Impossibile da far combaciare, addirittura come fosse stato buttato nel mucchio per indurre all’errore. Ci sono ancora troppe contraddizioni in questo rapimento che gli investigatori continuano a definire anomalo. Chi e perché avrebbe sequestrato un bambino a una famiglia che non può pagare? Vendetta, ritorsione, riscatto? Nessuna di queste ipotesi finora ha trovato qualsivoglia conferma. Un ricatto? Anche questa tesi sembrerebbe smentita. Dai fatti. Da qualche «panno sporco» da lavare in famiglia non giustificherebbe un’azione tanto rischiosa quanto violenta. Soprattutto un ostaggio che rischia di morire e che in questo caso equivarrebbe all’ergastolo. Eppure sembrerebbero proprio dei professionisti coloro che hanno sequestrato il piccolo Tommy, chissà se sapendo o no, di avere tra le mani un bambino che senza medicine rischia la vita.
Punto due. Perché inscenare una rapina? Sembra chiaro che il loro obiettivo fosse il piccino, ma in casa ce n’era un altro, Sebastiano, il fratellino maggiore di Tommaso. Lui ha 8 anni, è sano, sarebbe stato un potenziale prigioniero più facile da gestire. Anche senza una carceriera-baby sitter. Domanda numero tre: i messaggi. A cominciare da quelli lanciati l’altro ieri dall’avvocatessa, amica di famiglia, Claudia Pezzoni. Che sembrava parlare indirizzandosi a un interlocutore preciso. Dicendo: «I bambini non c’entrano, chi vive nella malavita sa che loro devono restare fuori da queste logiche...». Sembrava una traccia, un discorso mirato. Un po’ come quello del padre del piccolo Tommaso: abbiate pietà di lui se no io non ne avrò con voi.
Quarto interrogativo. Le dichiarazioni dell’indomani sempre di Paolo Onofri: «Sì, lo so, il nostro cane da guardia è sparito e da sabato non lo trovavamo più. Temevo fosse stato ucciso, ma sono sicuro che adesso lo troveremo: addosso aveva un microchip». Parole che suonano come un altro segnale da decrittare. Ma solo per chi sa. Non è finita. Chi ha sequestrato Tommaso ha rischiato molto. E di certo conosceva bene il luogo: stradine sparse tra la motta della Bassa Modenese, sentierini d’asfalto a doppio senso dove due auto che procedono in direzione opposta non possono non fermarsi se vogliono evitare lo scontro. I rapitori dopo l’assalto non hanno tagliato i fili del telefono, non hanno preso i cellulari delle vittime. Un rischio enorme: sarebbe bastato un attimo per intrappolarli nel labirinto di canali e strade senza uscita che portano a quella cascina sperduta.
Non convincono nemmeno gli investigatori. Marito e moglie sembrano tenuti a distanza. Lei per ore e ore in questura; lui invece solo di passaggio ad abbracciarla.

Ci si aspetterebbe, invece, di vederli in casa, ad attendere un eventuale messaggio di chi tiene prigioniero il loro bambino. E invece loro due sembrano rincorrersi tra interrogatori in tribunale e interrogatori negli uffici della squadra mobile.

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