Politica

Voto agli immigrati: l’idea di Fini è valida a quattro condizioni

Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha commesso un errore definendo killeraggio gli articoli del Giornale, con cui si sono informati i lettori della condanna penale per reato contro la integrità personale di un personaggio della vita pubblica che si era eretto ad arbitro di questioni morali. Si è trattato di informazione oggettiva, sulla base di sentenze passate in giudicato, non di avvisi di garanzia, spacciati per verità processuale o di pettegolezzi sulla vita privata, come quelli che si ostinano a pubblicare contro il premier alcuni grandi giornali, scesi al gossip nel tentativo di deviare l'attenzione dalle vere questioni e di spostare a sinistra qualche voto cattolico.
Il killeragggio mediatico non sta nella pubblicazione di fatti legalmente veri. Sta, semmai, nella raccolta di firme di Repubblica a difesa della libertà di stampa, contro la querela di Silvio Berlusconi a tale giornale. Questa iniziativa, infatti, si regge su un falso. Infatti Berlusconi non ha intentato una causa penale per diffamazione, ma solo una causa civile per danni. E se l'editore di Repubblica non è avaro può anche permettersi di pagarla, evitando che siano i suoi giornalisti a farlo. Dunque sta all'editore di Repubblica stabilire se crede nella libertà di stampa. Quello di Berlusconi è solo un modo legale per appurare chi ha ragione o torto, senza conseguenze per la fedina penale. Non c'è alcun revolver, non c'è alcun killer.
Dunque Fini, che spesso nel suo ruolo di presidente della Camera ha richiamato in modo efficace al rispetto dei principi di legalità, in questo caso ha commesso un errore. Non stupisce che esso sia stato applaudito dalla sinistra attuale che consiste di un coacervo a cui il principio di legalità è per natura alieno, in quanto loro si credono antropologicamente superiori. Ma Fini sbaglia se pensa che la stima che ora tale sinistra gli tributa sia sincera. Essa è sempre pronta a dargli spregiativamente del «fascista» alla prima circostanza in cui ciò le piacerà.
Precisato questo, aggiungo che fra i temi che Fini ha posto sul tappeto ce n’è uno serio, valido, che egli ha già prospettato in passato, quello del voto nelle elezioni amministrative per gli immigrati.
Il condono per le badanti che potrebbe legalizzare oltre mezzo milione di immigrati dovrebbe fare riflettere sul fatto che si porrà anche il problema di integrare nella nostra società queste persone, che svolgono per le nostre famiglie compiti fiduciari. Condividono con noi la cura di anziani soli, di bambini , ci governano la casa quando siamo fuori. Ci sono vicine tutti i giorni, con un rapporto che è, prima di tutto, umano. Un discorso analogo vale per quelle centinaia di migliaia di extracomunitari che lavorano negli ospedali, nei ristoranti, negli alberghi, nelle imprese di pulizia.
Più in generale, ci sono oramai tre milioni di immigrati, in Italia. Forse due milioni di loro lavorano nelle nostre imprese e nei nostri servizi, si tratta cioè dell' 8 per cento della forza lavoro ufficiale. Molti amano il nostro paese come loro seconda patria, forse come la vera patria, la loro «America». Molti diventeranno cittadini italiani e voteranno nelle politiche. Le organizzazioni della sinistra post comunista e cattocomunista li corteggiano, pensando a loro come all'armata di riserva, per rimpiazzare quei lavoratori che si sono stufati delle loro promesse e acrobazie politico-sindacali. Dunque è opportuno consentire, prima della acquisizione della cittadinanza italiana, il diritto di voto nelle elezioni locali agli immigrati che hanno un certo numero di anni di soggiorno in Italia, con contratti di lavoro e pagamento di imposte regolari e fedina penale pulita. Ciò previo esame in cui tali aspiranti elettori dimostrino di conoscere l'italiano (indispensabile per votare con cognizione di quel che si fa), la nostra carta costituzionale, le tradizioni e la cultura della comunità locale in cui vivono (se intendono votare il governo della comunità in cui vivono è opportuno che la conoscano).
Dal mio punto di vista si tratta di una scelta morale, riguardante una società libera e responsabile. Ma come economista, aggiungo che è una scelta conveniente e lungimirante.

In questo modo si eviteranno i quartieri anarcoidi di immigrati, che caratterizzano gli stati ove essi sono, di fatto, ghettizzati e, più facilmente, si potranno isolare quelli di loro che sgarrano, punendoli come singoli, non per la loro razza o credenza, ma perché non rispettano le nostre istituzioni.

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