Ventanni dopo e le elezioni le decide ancora lui: Pinochet. Il Cile non riesce a perdere la memoria. Il suo passato resta lì, ancorato al Paese di Allende e di Neruda. Pinochet è morto, ma il ricordo della dittatura resta lì. Lo sapeva benissimo Sebastian Piñera, il candidato di destra, «luomo del futuro», come diceva uno dei suoi slogan, luomo che ieri notte è diventato quel futuro, vincendo le elezioni. Ma la distanza lui lha imposta fin dallinizio. La destra di oggi non è quella di Pinochet di allora. Un messaggio chiaro per i suoi elettori; lui, che con la dittatura non centra niente, lo ha sempre voluto dimostrare, tanto che nel 1988 ha votato no al plebiscito su Pinochet. Un uomo nuovo Piñera, che ha puntato tutto sul volto rassicurante da dare alla destra. Limprenditore politico che ha studiato ad Harvard, con una famiglia numerosa e potente alle spalle. Suo fratello José è stato ministro del Lavoro sotto Augusto Pinochet. È ricco Piñera, negli anni Settanta ha introdotto in Cile le carte di credito e su questo ha poi fondato la sua fortuna. Lo chiamano il Berlusconi del Cile, è considerato tra gli uomini più ricchi del suo Paese, la rivista Forbes stima il suo patrimonio a 1,3 miliardi di dollari. È anche il principale azionista della compagnia di bandiera Lan Chile, con interessi nei media, nella grande distribuzione e nel mattone. Controlla la tv Chilevision e la squadra di calcio del Colo-Colo. La sua immagine è tutta lì: lui è luomo della svolta, quella di un Cile che non ha più paura del suo passato. In campagna elettorale ha promesso un milione di posti di lavoro, laumento delle pensioni minime, la costruzione di nuove case popolari e 10mila poliziotti in più nelle strade. Piñera ha anche saputo giocare bene con i suoi avversari. Da sempre sa che Michelle Bachelet, se ne va da vincitrice assoluta: 84 per cento di approvazione popolare. La signora che si presentò alle elezioni come «donna, socialista separata e agnostica», ha conquistato il cuore di tutti. Per questo Piñera non si è dimenticato di congratularsi con i suoi risultati ottenuti, che ha promesso di rispettare le misure del welfare adottate dai governi di sinistra.
Questa è stata la carta vincente di Piñera: tracciare la distanza. Tentare di chiudere con il passato. Piñera e i suoi lo hanno capito subito. È stata una mossa vincente. Frei, il candidato di sinistra invece lo ha capito dopo ed è stato il suo errore. Il ritardo è pesato.
Il Cile guardava avanti, sceglieva il nuovo, votava per «il cambiamento», per lalternanza al potere che, a causa di Pinochet, è bloccata da ventanni. Poi, nelle ultime settimane Frei ha capito e ha invertito la rotta. «Nel suo gruppo troppi vecchi collaboratori di Pinochet. La destra di oggi è troppo simile a quella destra di Pinochet». Sono bastate poche parole per cambiare rotta. I sondaggi pubblicati nelle ultime settimane davano responsi diversi: Piñera perdeva terreno. Frei recuperava. Ma non solo: il giovane Marco Enriquez-Ominami, che aveva ottenuto al primo turno il 20 per cento dei suffragi, insufficienti per partecipare al giorni decisivo, ha confessato: «Mai potrei votare per il candidato di destra». I suoi elettori hanno così iniziato a rivolgere lo sguardo a Frei, già eletto presidente dal 1993 al 98. Alcuni lo hanno rivalutato, lo hanno riconsiderato scegliendo il male minore. Hanno preferito la continuità, riaffidandosi alla Concertación, la coalizione che unisce socialisti, radicali e Dc, che governa il Paese dal 1989, che ha rafforzato la democrazia in Cile. La distanza Piñera e Frei si è accorciata. Tra loro a insinuarsi il fantasma di Pinochet. Ancora una settimana fa, nel dibattito in tv, erano lì a litigare, e il punto era ancora una volta quello: la gente voleva sapere se Piñera avrebbe incluso gli uomini vincolati agli anni del dittatore.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.