Ogni scheda un voto, ogni voto cinque euro. Risultato: alle urne i partiti spendono 100 e guadagnano 500.
A voler pensare male si potrebbe pure farsi venire il dubbio che i ripetuti appelli a tornare a votare abbiano un perché più economico che politico. Ma si farebbe peccato, a pensar male, e si rischierebbe di azzeccarci. Così, toccherà limitarsi a far due conti. In tasca ai partiti e agli italiani. Il rapporto è inversamente proporzionale: là entrano, qui escono. La cifra è da manovra Finanziaria: per 2,2 miliardi di euro più «spiccioli» sborsati dallo Stato per rimborsare le campagne elettorali dal 1994 a oggi, il guadagno netto per i partiti è stato di oltre 1,6 miliardi, perché le spese che realmente hanno sostenuto ammontano a non più di 579mila euro. Parola di Corte dei Conti. Che segnala come il meccanismo dei rimborsi, legato al numero di voti anziché alle spese reali sostenute, sia da modificare, parametrando i contributi «in stretto collegamento con la spesa sostenuta e contabilmente giustificata». Ma che, così a naso, resterà inascoltata, se è vero che il «volano» si verifica ripetutamente da quindici anni senza che alcuno fiati. Tantomeno chi di solito grida allo sperpero.
Lultima campagna elettorale, quella del 2008, per dire: i partiti hanno speso 110 milioni di euro e hanno ottenuto rimborsi quattro volte superiori, pari a 503 milioni, cioè 10,5 euro per elettore. Spiegano i magistrati contabili che i partiti dichiarano spese maggiori di quelle poi verificate. La legge prevede due tipi di uscite elettorali: quelle per i materiali di propaganda (spot, manifesti) e quelle strumentali (viaggi, telefono). Dai controlli emerge che è soprattutto il secondo tipo di voci a essere «gonfiato».
Il partito che ha speso e incassato di più è stato il Pdl, che poi, così prevede il patto siglato a febbraio 2008 fra i fondatori Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, suddivide i rimborsi in quote del 75 per cento per la ex Forza Italia e del 25 per cento per la ex An: 15.801.955 euro dichiarati contro 652.712 euro di spese accertate. Ventiquattro volte tanto, ma nulla a confronto di altri «rapporti» pericolosi. I paladini dei Valori, per esempio, hanno incassato 64 volte più di quello che hanno speso: 1.027.222 euro contro 16.010. E se sul podio della contabilità al rialzo si collocano la Sinistra Arcobaleno, 2.452.441 euro contro i 12.808 spesi, 191 volte tanto, e lUdc, cui sono state accettate spese per soli 22.763 euro rispetto ai 4.814.816 dichiarati, la palma della faccia tosta va al Partito socialista: zero spese accertate, ma un milione 16.144 euro dichiarati. Più morigerati Lega (802.316 contro 266.589) e Pd (423.696 contro 398.397).
Il rimborso legato ai voti anziché alle spese, rileva la Corte, ha fatto lievitare i costi, visto che i contributi statali prescindono da essi e sono molto superiori. Questi poi sono aumentati nel corso degli anni: dalle 1.600 lire per abitante nel 1993 alle 4mila per elettore nel 1999 ai 5 euro nel 2002. Non paghi, nel 2005 i partiti hanno stabilito che le rate dei contributi venissero erogate anche se la legislatura finiva anticipatamente. E infatti oggi stanno ricevendo sia i soldi delle elezioni 2006 sia quelli del 2008. Il plafond per le ultime elezioni ammonta a 503.094.380 euro, da pagare in cinque comode rate di 100.618.876 euro fino al 2012.
Dal 1994 le spese sono più che triplicate: 36.264.124 nel 1994, 49.659.354 nel 2001, 122.874.652 nel 2006. Il gioco vale la candela vista lentità delle somme.
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