A che cosa servono le primarie del Partito Democratico? Walter Veltroni, lievemente indiziato di una non impossibile vittoria, si è così rivolto agli elettori via internet: «È la prima volta che si comincia da te. Non perdere questa occasione». Sullo stesso sito un altro dei cinque candidati, il carneade Mario Adinolfi, ancor più pomposamente ha scritto: «Per la prima volta nella nostra storia puoi scegliere tu il leader e i rappresentanti di un partito nuovo».
Ma va là. È del tutto evidente che le votazioni di oggi sono una messa in scena tale da far sbiadire il ricordo delle elezioni in Bulgaria, una carnevalata che si concluderà con l’ovvia vittoria di Veltroni. Al quale, oltre al già citato Adinolfi, vengono contrapposti altri tre candidati: l’altrettanto carneade Pier Giorgio Gawronski (alzi la mano chi l’ha mai sentito nominare) e poi Rosy Bindi ed Enrico Letta, i quali si divideranno i già non molto numerosi voti dei cosiddetti cattolici adulti. In verità c’erano altri due pretendenti che avrebbero potuto creare almeno qualche problemino: Di Pietro e Pannella. Ma il democratico futuro Partito Democratico ha provveduto per tempo a bucar loro le gomme prima della partenza, cosicché i nomi dei due guastafeste sono stati sbianchettati.
L’esito è dunque scontato, così come era scontato quello delle primarie con cui Romano Prodi fu incoronato due anni fa; e come era scontato il «sì» sul Welfare alla consultazione dei giorni scorsi, organizzata chiamando al voto anche i pensionati in modo da neutralizzare il probabilissimo «no» che sarebbe arrivato (e infatti è arrivato) dalle grandi fabbriche.
E dunque: a che cosa servono queste primarie? Semplice: a far credere che, mentre la destra designa i suoi leader dall’alto, la sinistra lo fa dal basso, chiamando il popolo a raccolta; a ribadire che mentre la destra è autoritaria, la sinistra è democratica. È chiaro che si tratta di fumo negli occhi. Ma un fumo funzionale a tenere in vita la leggenda di una «diversità antropologica» - per usare le parole di Eugenio Scalfari - che ormai è rimasto l’ultimo appiglio cui aggrapparsi.
Ma quale diversità antropologica.
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