Il weekend? Ha quarant'anni

Alla fine di una dura lotta sindacale nel 1969 entrò in vigore la settimana corta che stravolse la vita degli italiani. Facendoci sentire tutti più ricchi

Il weekend? Ha quarant'anni

Bisogna avere i capelli grigi se non bianchi per ricordare il tempo in cui si lavorava di sabato. Infatti sono quaranta anni. Era il 1969 e in ottobre arrivò quello che per la storia si chiama «autunno caldo».

Fu un autunno bestiale, più che caldo, perché le rivendicazioni dei metalmeccanici, come dire la Fiat, la catena di montaggio, il Cipputi di Altan, si intrecciarono con episodi di violenza e terrorismo misteriosi: si cominciò l’8 agosto con una bomba al Senato, poi bombette sui treni, voci di colpo di Stato, cariche della polizia, un agente della Celere, Annarumma, ucciso sbattendo con la sua jeep contro un palo della luce, un pensionato ucciso da una pallottola della polizia e infine il 12 dicembre gli attentati alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano e alla BNL a Roma. Erano mesi di esaltazione, cortei, violenze, minacce, mentre autonomia operaia spaventava ed ospitava già le uova delle brigate rosse, c’erano attentati fascisti, comunisti e anarchici, confusione, canti, grida, spettacoli sperimentali: il Paese Italia usciva dal decennio del boom economico della Seicento, dell’Autostrada del Sole, della televisione unificante, come un neonato dalla madre con un parto difficilissimo.

In quel clima fu combattuta una dura trattativa sindacale che si concluse con una vittoria di quella «classe operaia» che oggi non esiste quasi più. La settimana corta, il sabato libero, le donne al supermercato, la scuola persino con un giorno in meno, i «ponti» che agganciavano anche i sabati, intercettavano e allungavano i venerdì e insomma ci sembrava di essere diventati come gli americani sicché adottammo anche noi l’espressione «weekend» per dire due giorni della settimana dedicati al riposo.

Gli americani usano anche l’acronimo «Tgif», cioè Thank God it's Friday, cioè «grazie a Dio è venerdì»: l’urlo che prorompe da tutti i cuori del mondo occidentale verso le sei del pomeriggio di venerdì, quando si lasciano gli uffici, la fabbrica, la scuola, e si corre a godere del tempo libero. Difficile dire che cos’era la nostra vita prima. Era una vita in cui esisteva al massimo il sabato pomeriggio per tuffarsi in sale cinematografiche in cui il fumo lo tagliavi col coltello e si tratteneva il fiato per arrivare al lunedì mattina, già stanchi in partenza. D’altra parte a quell’epoca noi giornalisti lavoravamo la notte di Natale e quella dell’ultimo dell’anno. Ricordo molte bottiglie di spumante fra le rotative.

La vita era grigia, ma non noiosa. La televisione non era a colori, non esistevano le videocassette, i telefoni erano inchiodati al muro, i seni erano proibiti nelle foto e il procuratore misurava l’area del capezzolo e l’elastico delle mutande: fece scalpore, di lì a poco, il libretto politico-erotico Porci con le ali del giovane Lombardo Radice. Il Partito Comunista pontificava ed era tornato filosovietico dopo una piccola e momentanea ribellione l’estate precedente dopo l’invasione della Cecoslovacchia. I socialisti facevano un po’ la fronda ai comunisti, ma marciavano allineati. Gli uomini portavano ancora il cappello e le foto di noi giovani di quell’epoca ci ritraggono con capelli lunghi e barbe che furono il segno della dissidenza e della sfida mentre gli operai, divinizzati, erano considerati il soggetto centrale della società.

La gente cominciò timidamente a pensare di farsi «una casetta in campagna », visto che si poteva partire il venerdì sera e restare fino all’alba di lunedì. Mutui, programmi di viaggio. La settimana bianca non esisteva. In palestra ci andavano solo dei forzuti, generalmente giovani neofascisti mentre quelli di sinistra facevano vedere di avere sempre libri e giornali sotto il braccio per sembrare più intelligenti. La televisione era unica, una sola auto per famiglia era la regola più generale anche se la 500 Fiat diventava la macchina dello studente e della moglie che doveva andare a fare la spesa anche di sabato, spendendo di più e allargando i consumi.

In quell'Italia sperimentale la seconda giornata di vacanza arrivò come un lusso. La Fiat determinava il ciclo delle vacanze nazionali perché metteva in libertà gli operai ad agosto, il mese delle ferie per eccellenza. Gli operai ebbero un aumento consistente e molti si fecero la seconda macchina, mandarono i figli all'Università e molti si misero a studiare lingue con i corsi in dischi a 45 giri che si comperavano dal giornalaio. Le coppie ebbero più tempo per fare l'amore e nacquero più figli, ancora non si divorziava ma il divorzio era nell'aria. Il Paese diventava meno grigio, meno austero, meno occhiuto, apriva un occhio qua e uno là e si diffondeva anche, sia fra i cattolici che fra i comunisti, una grande paura del nuovo.

Era l’epoca in cui però furoreggiavano esempi mai ripetuti: Olivetti ad Ivrea e il suo capitalismo sociale e le edizioni «Società», con l’anticipo della settimana corta. La scuola di Barbiana di don Milani - quella tanto citata fuori tempo da Veltroni - scopriva che essere poveri è bello e severo e che i poveri devono fare una fatica in più per avere quello che i figli dei ricchi hanno dalla nascita. Gli italiani uscivano dal guscio e mettevano il naso fuori nel mondo, sentendosi ancora piccoli e provinciali benché l’Italia avesse allora una fortissima letteratura, un cinema fra i primi del mondo e un’immagine di Paese sviluppato e galoppante.

Erano i tempi in cui furoreggiava L'uomo a una sola dimensione di Herbert Marcuse e si rileggeva L'elogio dell'ozio di Bertrand Russell. Milano era ancora investita dalla seconda ondata migratoria insieme a Torino e i «terroni» erano considerati in molti luoghi come oggi si considerano i romeni e gli albanesi: brutti, sporchi e cattivi. Ma le edizioni economiche sfornavano libri a basso prezzo e le case editrici facevano affari con le enciclopedie a fascicoli e con le edizioni a basso costo.

Insomma, quaranta anni fa fu la svolta. Non si trattò soltanto della settimana corta, ma la settimana corta fu fondamentale: accorciava le ore della «fatica» allungava quelle della vita sociale, dello sport, della vita politica che allora era sentita nelle grandi città in modo quasi religioso.

Partiva del resto la grande rivoluzione sessuale e di lì a un anno cominciò il femminismo, benché la minigonna di Mary Quant avesse già sconvolto le menti dei benpensanti e acceso nuove catene sia di desideri che di supermercati.  

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