Weill e Strauss nell’anima della Verdi

Franco Fayenz

Nella calma un po’ distratta di fine stagione, l’Auditorium di Milano ha proposto agli ascoltatori di palato fine alcune partiture che, chissà perché, sono di rara esecuzione non soltanto nel capoluogo lombardo. In due concerti ravvicinati si sono apprezzati, fra l’altro, i Vier Letzte Lieder per soprano e orchestra di Richard Strauss e la Kleine Dreigroschemusik (o la Suite da Die Dreigroschenoper, se si preferisce) di Kurt Weill. I quattro deliziosi ultimi lieder di Strauss erano in programma fra l’Idillio di Sigfrido di Wagner e il superstite Adagio della Decima Sinfonia di Mahler, anch’essi di non frequente ascolto; mentre i brani portanti dell’Opera da tre soldi di Weill concludevano, in modo non attinente ma assai opportuno, una serata in memoria di Luciano Berio. Protagonista è stata l’orchestra residente dell’Auditorium, la Sinfonica Verdi, diretta nel primo caso da Claus Peter Flor e nel secondo dalla brava e bella Nicoletta Conti. Il soprano tedesco Anne Schwanewilms ha dato ai lieder straussiani la giusta dimensione, evitando di prevalere con la voce sull’orchestra - c’è chi ci prova, malgrado la pienezza sontuosa della scrittura orchestrale - e ponendosi invece come strumento fra gli strumenti.

Quanto a Weill, l’Opera da tre soldi (1928), che precede di pochi anni l’esilio del compositore dalla Germania nazista, costituisce forse il punto più alto del suo sodalizio con i testi di Bertolt Brecht. I sette episodi della Suite ne riassumono il senso del grottesco e la sintesi amara fra i moduli del cabaret, del jazz e della musica contemporanea.

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