Marco DeglInnocenti
da Monaco
Una settantina di tifosi hanno atteso ieri all'aeroporto di Brema il Werder, che tornava sconfitto da Torino ed eliminato dalla Champions. Soltanto applausi per i giocatori. I più calorosi per lo sfortunato portiere Tim Wiese. Che continuava a parlare di quel disgraziato tuffo a due minuti dalla fine, con il pallone che, sfuggitogli dalle mani, finiva beffardo sui piedi del quasi inconsapevole Emerson e poi in rete, per la sconfitta della sua squadra: «È di gran lunga la cosa peggiore che sia capitata nella mia carriera di calciatore, in quella che fino quel momento a era stata una delle mie migliori partite». Eroe per 88 minuti, poi l'errore che ha deciso la partita. E che lo ha sprofondato nella disperazione, nonostante al fischio di chiusura tutti i compagni, l'allenatore Schaaf in testa, gli si siano stretti intorno per confortarlo. «È davvero pazzesco che sia potuta accadere una cosa del genere. Mi fa ancora terribilmente male... Uno para tutto il possibile e poi... Se avessi avuto una pala mi sarei sotterrato».
Ancora una volta Wiese ha ricostruito l'azione che ha portato al gol di Emerson: «La palla arriva al centro dell'area. Del Piero ha già allungato la gamba. Io salto verso il pallone, ho ormai la situazione sotto controllo, sono sicuro. Ma il pallone mi sfugge chissà come dalle braccia. Poi sento solo che Cannavaro grida qualcosa come "Puma, Puma" ad Emerson. Lui si gira e calcia la palla in rete». Giura, il portiere, di non aver cercato l'applauso della platea: «Non ho fatto lo show, dovevo intervenire così, tuffandomi, per far guadagnare una paio di secondi di tempo ai miei». Poi, prima di tornare a casa, la promessa. Ai tifosi e a se stesso: «Una cosa del genere non mi era mai capitata, neppure in allenamento. E succede una sola volta nella vita. Adesso la vicenda è chiusa. Adesso si deve andare avanti».
Con la speranza che, finalmente, la iella smetta di accanirsi su di lui. Perché prima della storica papera di Torino per Tim Wiese c'erano stati quasi due anni di calvario fisico. E poi era diventato bersaglio di assurde, stupide, cattiverie per via della sua maglia rosa. Quella stessa che indossava ieri. Quella che aveva indossato anche l'8 febbraio scorso, contro lo Stoccarda allenato per l'ultima volta da Trapattoni, nei dieci minuti in sostituzione del titolare Reinke, infortunato. Era stato il giorno del suo ritorno in Bundesliga. Da dove mancava dal novembre del 2004, quando, ancora nel Kaiserslautern, si era rotto il crociato del ginocchio sinistro ed era stato operato. Passato al Werder, nella scorsa estate, proprio all'inizio della preparazione ancora una rottura dello stesso crociato e altra operazione. Quei dieci minuti di Stoccarda sembravano l'inizio della fine di un incubo. Non fosse stato per quella maglia rosa. I tabloid tedeschi si ricordarono che qualche giorno prima Wiese l'aveva indossata anche durante una partita amichevole del Werder in Turchia contro il Borussia Dortmund. E i tifosi del Borussia in trasferta, la cui intelligenza si commenta da sola, per quella maglia l'avevano sbeffeggiato gridandogli in coro: «Wiese ist die geilste Frau der Welt» (Wiese è la donna più arrapante del mondo). Bersagliato dalle più atroci insinuazioni circa le sue tendenze sessuali, Wiese rinunciò a indossare la maglia rosa proprio nell'incontro di Bundesliga a Dortmund. Ma soltanto in quell'occasione. Poi l'argomento scomparve dai tabloid. A Brema, però, nessuno s'è mai sognato di irriderlo per il colore della sua maglia.
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