Winston Churchill e la terribile battaglia contro il "cane nero"

L'esordiente britannica Rebecca Hunt racconta in un romanzo, strambo ma geniale, la lotta del grande politico con la depressione

Winston Churchill e la terribile battaglia contro il "cane nero"

Estate del 1964. In una tranquilla villetta di Battersea una giovane bibliotecaria di Westminster Palace (il parlamento inglese), Esther Hammerhans, attende di conoscere il suo nuovo affittuario. Sono tempi duri da quando ha perso il marito, e non solo per questioni di vil denaro. Avere qualcuno per casa è sempre una buona cura per la solitudine.
A molte miglia di distanza, nella sua incantevole dimora di Chartwell House, un ormai ottantanovenne Winston Leonard Spencer Churchill, pronto al pensionamento definitivo dalla sua lunghissima attività politica, attende anch'egli una visita: la sente nell'aria come inevitabile e non è una visita gradevole, già lo sa. Sta per raggiungerlo il suo peggior nemico, un nemico molto più sfuggente e pernicioso di quanto fossero i nazisti durante la Seconda guerra mondiale.
Anche se non sembra, però, i destini di queste due persone così lontane stanno per incontrarsi. Infatti, quando Esther va ad aprire la porta per conoscere il suo nuovo inquilino, che si è presentato per lettera proprio come signor Chartwell, si trova davanti un mostruoso cane nero parlante. Un molosso che gentilmente saluta ed entra in casa dicendo: «Bel giardino... Ha anche un orto?». E questo cagnone che sembra un labrador si dimostra subito un tipo cocciuto: anche superato lo choc e la strana puzza di terra bagnata che lo accompagna, Esther non riesce a cacciarlo di casa... Un po' perché l'animale le promette la mostruosa cifra di mille sterline per pochi giorni d'affitto, un po' perché nella sua deformità presenta, in qualche modo, delle caratteristiche magnetiche. È difficile dirgli di no, ha una sua triste e scombiccherata simpatia, riesce sempre a dire la cosa giusta per togliere forza combattiva alle argomentazioni dell'interlocutore.
Del resto è abituato a discutere con persone di tempra: di mestiere fa la depressione ed è proprio la depressione personale di Winston Churchill. Ecco perché è tornato e ha bisogno di una casa a pigione: deve recarsi tutti i giorni dall'ex primo ministro per tormentarlo, proprio ora che il definitivo pensionamento sta arrivando a indebolire le sue difese.
Vi sembra una storia completamente folle? È quella che racconta la giovane esordiente britannica Rebecca Hunt in Il cane nero (Ponte alle Grazie, pagg. 252, euro 16). E al di là della follia, o forse proprio per quella, la narrazione gotica di questo demone portatore di tristezza e angoscia conduce in lettore in un mondo parallelo, dove il male di vivere assume una forma palpabile, materiale. In questo romanzo che in patria ha avuto un successo immediato, infatti, si mischiano le tradizioni letterarie, il folklore - il cane nero rappresenta nelle leggende gallesi il demonio e compare in un'infinità di libri, da Jane Eyre sino al Gramo di Hanry Potter, passando per Il mastino dei Baskerville di Conan Doyle - e la capacità di raccontare uno dei grandi mali del presente. Per di più sfruttando un testimonial d'eccezione come Churchill, il quale contro questa bestia nera dell'anima ha combattuto davvero, per tutta la vita.
A questa strana ricetta la Hunt ha aggiunto una prosa solida, anche se ovviamente un po' acerba e con qualche debito verso altri autori, che riesce a dare credibilità a tutti i personaggi, ma soprattutto a Churchill e al suo avversario a quattro zampe. Così quando la giovane Esther (per questi compiti venivano impiegate veramente le bibliotecarie della Camera dei Comuni) raccoglie la dettatura del discorso d'addio del grande Winston e i due assieme affrontano il cane (sono i soli a poterlo vedere) ci si trova davanti a una ventina di pagine strepitose. In esse Churchill, capendo che la belva non minaccia soltanto lui, si batte per salvare la ragazza dai tremendi dubbi e dalle tristezze che lo tormentano da sempre. Rivive davvero con il suo genio e la sua prosa eroicamente da Nobel: «Non ceda. Non offra aiuto, non tenda la mano a... alle forze ostili che vorrebbero costringerla a fare diversamente». E il vecchio statista ce la farà. Black Pat (questo il soprannome del cane che rifiuta di dire il suo vero nome) dovrà lasciar andare Esther.

Si accontenterà di accompagnare sino all'ultimo il politico che soffrendo, col sigaro spento in bocca, lo combatterà da solo. Ma i grandi sono così, lottatori che si caricano di un fardello per salvare qualcun'altro. E gli scrittori veri sono quelli capaci di non guardarsi l'ombelico, ma di raccontare i grandi, reinventandoli.

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