Lo yoga si dà allo sport e scalda i muscoli per i Giochi Olimpici

Da disciplina spirituale a specialità atletica ispirata al body building

Lo yoga si dà allo sport  e scalda i muscoli  per i Giochi  Olimpici

da Londra

Dal misticismo ascetico della non violenza alla mondanità del talk show televisivi. Da disciplina spirituale per il ricongiungimento con Dio a moda hollywoodiana, stile di vita per star. Dall’India a Beverly Hills, passando per Londra, sede nel 2012 dei Giochi Olimpici, che gli smaliziati guru dell’ultima generazione vogliono trasformare in palcoscenico per la consacrazione dello yoga per tutti. Non più, non solo, esercizio spirituale sublimato dallo sforzo fisico, ma virtuosismo ginnico-corporeo. Un’evoluzione che porta lo yoga sempre più lontano dalla sua millenaria tradizione.
Per adesso si tratta solo del vago miraggio di un maestro, Bikram Choudhury, che vuole veder atleti sfidarsi a colpi di «posizioni», da quella del loto a quelle della locusta e della montagna. L’ennesima variazione di una disciplina con un’origine fortemente spirituale, di derivazione religiosa (l’unione dell’anima con Ishvara, il Signore), dimenticata, o comunque tralasciata, a favore di un’interpretazione più «sportiva», sbilanciata verso il riequilibrio psicofisico dell’uomo. Come nel caso della sua versione agonistica. Lo yoga per competere e vincere. Tutto il contrario dei suoi «comandamenti morali universali» prettamente non competiti, le cinque astensioni su cui si fonda la sua etica: la non-violenza, l’astensione dalla bramosia del possedere, la liberazione dall’avidità, la castità, l’aderenza al vero.
«Se tutto ciò che interessa è effettuare una postura senza respirazione né comprensione, allora è meglio andare in palestra - il commento di Elizabeth Stanley, direttrice del centro londinese Life Centre -. La competizione è un anatema dello yoga: mette a rischio la sua natura, che si basa sull’accettare chi si è e dove ci si trova».
Dalla ricerca della verità alla ricerca di una medaglia. Nel Regno Unito lo yoga competitivo esiste già da tempo, organizzato in due campionati nazionali (maschile e femminile). I concorrenti hanno a disposizione tre minuti per prodursi in cinque posizioni obbligatorie, seguite da tre libere. I voti dei giudici - dall’uno al dieci - misurano la tecnica, i movimenti, la coordinazione e la grazia. Niente soldi per i vincitori che lo scorso dicembre si sono affrontati a Londra in occasione dei «nazionali». Il premio erano due biglietti per Los Angeles dove il prossimo febbraio gareggeranno in una sorta di mondiale contro altri concorrenti provenienti da 20 nazioni. Tra le scuole che più hanno saputo sfruttare commercialmente la tradizione yoga, organizzando in tutto il mondo corsi e concorsi, c’è il Bikram yoga. Una sequenza di 26 posizioni (asana), e di due esercizi di respirazione (pranayama), effettuata in 90 minuti in una stanza riscaldata a 40 gradi. Nata dalla mente di Choudhury, un sessantenne guru indiano che già a 12 anni gareggiava. Emigrato a Los Angeles, il suo «yoga sudato» ha conquistato Hollywood, incantando Madonna, Julia Roberts e Gwyneth Paltrow. Mentre Choudhury si gode il lusso nella sua meravigliosa villa di Beverly Hills, spostandosi in Rolls Royce e regalandosi abiti sartoriali, sua moglie Rajashree si preoccupa di monetizzare la disciplina.

Così dopo aver messo il copyright sulle 28 posizioni, ora esercita pressioni sul Cio perché il Bikram diventi una disciplina olimpica. «Agli ultimi mondiali sono intervenuti alcuni membri del comitato olimpico e sembravano sinceramente convinti dell’opportunità dello yoga ai Giochi», il commento di Rajashree.

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