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Zapatero, l’idolo della sinistra «sdogana» anche Villa Certosa

C’è una sinistra che non ha paura di aprire quel cancello. È una sinistra che parla un’altra lingua e non si vergogna di togliere i sigilli della censura alla villa del peccato. È una sinistra curiosa di visitare Villa Certosa e vedere l’effetto che fa. È una sinistra capace di ridere alle battute di Berlusconi senza imbarazzo. È una sinistra che ha la faccia divertita e curiosa di Zapatero.
Che colpo per la sinistra italiana che da mesi dipinge la Certosa come un set del «Satyricon» di Fellini: si sono suggestionati a tal punto che ogni volta quando immaginano la residenza del Cavaliere gli vengono in mente le scene di «Eyes Wide Shut» di Kubrick, donne nude e cori iniziatici. Che colpo scoprire che a visitare questo luogo di perdizione sia il leader più amato della sinistra europea, uno dei più morigerati, quello che si è guadagnato il soprannome di Bambi e che come massima trasgressione ha il sogno di andare a sentire sua moglie cantare nel coro.
Che disastro. Avevano dipinto Zapatero come cavaliere senza macchia e senza paura, una sorta di Saint Just dei diritti civili e ora devono apprendere che è finito anche lui alla corte del Cavaliere ad ammirare le spine dei cactus e le varietà del suo orto botanico. Nello stereotipo manicheo di una certa sinistra non c’è spazio per le mezze tinte: se Zapatero è santo anche la Certosa deve diventare cattedrale, se Berlusconi è il diavolo anche Zapatero deve esserne corrotto. Ma dato che non sono vere né una cosa nè l’altra chissà che Furio Colombo, Dario Franceschini e Michele Santoro non debbano prendere finalmente atto che Villa Certosa non è la declinazione istituzionale di un bordello.
Se non lo capisco lo odio, se non posso piegarlo devo disprezzarlo. Il senso di questa storia e delle sue mitologie distorte è l’inadeguatezza della sinistra nel capire la cultura del piacere. Vorrebbe sedurre gli italiani ma poi propongono sempre Calimero. Celebrano oggi Bongiorno con lacrime di coccodrillo, ma solo mesi fa lo deridevano e killeravano nel suo sogno di diventare senatore a vita. Se si esclude la stagione dell’effimero in cui Nicolini fu crocifisso dai suoi stessi compagni, il tono medio e l’estetica della sinistra italiana è rimasto fermo all’Italia arcaica del dopoguerra: come era bella la scarna branda di Ferruccio Parri a Palazzo Chigi, quanta poesia nel basco polveroso di Pietro Nenni, aveva ragione Ugo La Malfa che il televisore a colori era un lusso per gli italiani, e Enrico Berlinguer era una brava persona perché aveva una barca a vela su cui non avrebbe messo piede nemmeno il più povero dei pescatori. Senza dimenticare le domeniche bestiali in bicicletta di Romano Prodi o i calzini bucati, esibiti con orgoglio, da Giuliano Amato. È un’estetica figlia della privazione intesa come valore, dell’idea completamente malata che per ottenere prestigio bisogna punire la carne e lo spirito. Poi, però, schizofrenicamente solca i mari la barca a vela di Massimo D’Alema o spuntano le escort del Pd pugliese.

Ma sono sempre emozioni viste di contrabbando i riflessi di qualche Mister Hyde che per un attimo ruba la scena al Dottor Jekyll.

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