Quell'incontro con il latitante Battisti «Mi aspettavo un mostro, era un depresso»

Il racconto del nostro cronista: dagli omicidi fino all'arresto del terrorista

«Mi aspettavo il mostro degli anni Settanta, un genio del male che si portava dentro chissà quali segreti, e invece ero di fronte a un uomo povero e depresso». Quando il cronista del Giornale incontra Cesare Battisti, si immagina un mondo. La latitanza del più famoso dei terroristi sta per concludersi. Intorno, i pezzi del puzzle che per trentasette anni hanno protetto il celebre latitante stanno crollando uno a uno come tessere di un sistema in decadenza. Paolo Manzo è lì e ce lo ha raccontato nelle pagine del Giornale, oggi quei momenti sono raccolti nel suo libro «Il caso Cesare Battisti», con la prefazione di Alessandro Sallusti, da oggi in edicola a 7 euro.

L'ultimo tratto della «strana storia di un assassino condannato dalla giustizia, ma salvato dalla politica, come ha scritto Paolo Biondani su l'Espresso viene più che raccontata, vissuta da Manzo. È lui infatti che non ricostruisce, ma vive passo dopo passo gli ultimi capitoli di questa lunga fuga che porteranno finalmente alla cattura e poi al carcere.

Come scrive il direttore Alessandro Sallusti, «quella tra Battisti e Manzo è stata una lunga partita a scacchi che ha avuto andamenti alterni e che sembrava non dovesse finire mai». Eppure intorno, qualcosa stava cambiando. Il Brasile prima di tutto: il Paese che lo aveva fino ad allora accolto e protetto con il governo di sinistra di Lula, stava cambiando drasticamente bandiera. L'elezione a presidente di Bolsonaro è il primo grande pugno in faccia che riceve Battisti. Il neo presidente lo aveva annunciato fin da subito: all'Italia avrebbe ridato il latitante che per troppo tempo era rimasto impunito. Ma non era solo il Brasile a voltargli le spalle, l'uomo si sentiva sempre più braccato, isolato, invecchiato all'improvviso. Gli ultimi protettori politici dell'internazionale socialista sono ormai scarichi. Il suo ghigno beffardo nei salotti bene della sinistra francese è ormai un ricordo dai colori sbiaditi. L'aria è cambiata, gli applausi dei complici al suo fianco, dal presidente francese Mitterrand, la prima dama Carla Bruni solo per citare i più noti, oltre al gruppo nostrano di Vauro e Saviano, quasi non si sentono più. Battisti lo fiuta nell'aria, e sa che presto la sua situazione cambierà. Così, Manzo che fa luce sull'ultimo tratto della sua vicenda è interessante per capire meglio questo uomo e il mondo che lo ha circondato. Manzo come scrive Sallusti diventa un coprotagonista della vicenda, più che un cronista. Lo incontra e lo fa spesso, quasi per caso, quasi per destino. Lui gli parla lontano dagli avvocati che ripropongono sempre quel cordone di innocentismo attorno a lui. Cesare di fronte a Manzo, la sua birretta in mano, racconta. Non ha bisogno di esibire strafottenza e mezzi sorrisi che tanto fanno indignare i parenti delle vittime che a casa, aspettano giustizia.

Poi finalmente, arriva il tempo pure per loro. La latitanza - e sono le ultime pagine di cronaca- finisce in Bolivia. Lui viene fatto salire su un aereo e riconsegnato alla giustizia italiana. Finalmente un lungo, dolorosissimo capitolo si chiude.

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