Civico 11 di via Marco Polo. È qui il nuovo showroom di Adele Cassina, figlia di Cesare, l'inventore del design italiano. Adele - 70 anni e l'energia tipica di chi è nel cuore della Brianza produttiva, a Meda - presenta il suo nuovo progetto. «Sono Adele, sono io», dice. Lo afferma con la forza di una donna vissuta in una famiglia maschilista («non c'è mai stato spazio per me in azienda: ero considerata inutile») e dove ciò che contava era il cognome («Esisteva solo Cassina, non i membri della famiglia, ma un'entità superiore astratta cui tutti dovevamo tendere»).
Oggi Adele ha superato le amarezze e, per la prima volta, si è messa in gioco come imprenditrice. Ha così ideato una nuova linea di design e l'ha chiamata «adele-c»: la direzione è dell'artista Marco Papa e l'intento è quello di invitare i creativi a progettare pezzi per una collezione che coniuga arte e design industriale. Mentre parliamo, Adele è seduta sulla Zarina, una poltrona che riproduce in grandi dimensioni la poltroncina che papà Cesare realizzò apposta per lei quando, a soli 4 anni, rimase orfana di madre. Da allora, come una sorta di «coperta di Linus», l'ha seguita tra peregrinazioni e traslochi.
Perché ha battezzato questa poltrona Zarina?
«Perché è serva e principessa, perché è bella, ma umile come tutte le cose semplici. E poi Zarina è come dire Cesarina: non sono forse io figlia di Cesare, lo zar?».
Parliamo di suo padre.
«Non è stato un rapporto facile, mi sono "liberata" di lui solo adesso, quando ho capito che il suo volermi tenere al di fuori degli affari dell'azienda Cassina era un modo per proteggermi».
Si favoleggia che fosse un mecenate con i designer con cui collaborava.
«Nato in una famiglia di legnamari da generazioni e mandato a bottega a 11 anni a Milano, fondò la Cassina insieme al fratello Umberto, di molti anni più grande. Cesare fu il primo a chiedere agli architetti, che allora non si chiamavano ancora designer, di collaborare per le sue produzioni di mobili».
Nomi che hanno fatto il made in Italy.
«Da Vico Magistretti a Giò Ponti, passando per Albini, Castiglioni, Afra e Tobia Scarpa. Mio padre era instancabile: apriva continuamente nuove aziende (come la Flos o la C&B con Busnelli, ndr), pagava sempre di tasca propria, era molto generoso con i designer che chiamava a lavorare per lui. È questa la sua eredità più preziosa. Oggi faccio ciò che lui faceva cinquant'anni fa: invito gli artisti a lavorare con me, per ricreare oggetti pieni di quell'amore che il design di un tempo aveva e che oggi ha perso».
Non le piace il made in Italy attuale?
«Lo trovo commerciale, privo di forza di narrazione e di ricerca. Vedo in giro molte decorazioni, molti oggetti "di stile", ovvero di moda, ma poche avventure davvero nuove e originali».
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