A2A, Brescia ferma il piano di razionalizzazione

da Milano

Nuova spaccatura tra gli azionisti di maggioranza (i Comuni di Milano e di Brescia) di A2A, la società che è nata all'inizio del 2008 dalla fusione di Aem Milano e Asm Brescia. Il consiglio di sorveglianza che si è riunito ieri a Brescia non è riuscito infatti a deliberare sul piano di riassetto proposto dal consiglio di gestione: una mozione presentata da due consiglieri milanesi che appoggiava il piano ha ottenuto 9 voti a favore con 6 astenuti, una seconda mozione «bresciana» che ha avuto sei voti favorevoli e 9 astenuti proponeva una maggiore attenzione alle realtà locali.
Di fatto, quindi, il piano non è passato perché è mancata la maggioranza qualificata di 11 voti. Tutto rinviato al consiglio comunale di Brescia che ascolterà i presidenti dei due consigli, il bresciano Renzo Capra e il milanese Giuliano Zuccoli. Una soluzione irrituale, perché è la prima volta che un azionista con poco più del 25% convoca i presidenti di una società.
Lo scontro è come al solito su chi comanda. La scelta della gestione duale non è bastata secondo Brescia a creare un equilibrio con Milano, anche se va detto che gli accordi per la fusione erano stati firmati da tutte e due le parti con grandi dichiarazioni di soddisfazione. E il piano di riassetto industriale presentato a inizio agosto non ha fatto che peggiorare le cose.
Il sindaco di Brescia, Adriano Paroli, è sceso in campo settimana scorsa dichiarando ai quotidiani locali di sperare che non venisse approvato perché toglieva a Brescia ogni peso nell’alleanza. Il bello è che il piano è stato votato all’unanimità da tutti i consiglieri del consiglio di gestione, compresi i bresciani. Ma il piano contiene decisioni dolorose come l’accorpamento di numerose controllate: rischiano di saltare decine di consigli di amministrazione (le società in gioco sono 240, anche se non tutte coinvolte nel riassetto), con qualcosa come 900 poltrone. Troppe perché questo non provochi un'insurrezione, che infatti è scoppiata.


E tutto questo tra due azionisti (Milano e Brescia) di una società quotata che hanno ognuno poco più del 25%, ignorando i soci di minoranza, tra cui alcuni fondi americani, che stanno alla finestra. Come per ora fa anche la Consob.

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