Abiti come farfalle Parigi seduce con la leggerezza

Ungaro e Celine giocano con colori, atmosfere rarefatte e tacchi altissimi. Givenchy insiste sulla strada del dark romantico

Daniela Fedi

da Parigi

«La moda è a volte bruco e a volte farfalla: alcuni abiti strisciano, altri volano», diceva Coco Chanel nella prima metà degli anni Venti. Veniva in mente questo durante la bella sfilata di Ungaro andata in scena ieri a Parigi in un tendone di plastica eretto sulle rive della Senna. «Ho immaginato le donne come farfalle: leggere, colorate, una delizia per gli occhi e per il cuore» ha detto Peter Dundas, il quarantenne designer norvegese che lo scorso marzo è passato dall'ufficio stile di Cavalli alla direzione artistica della storica griffe francese, oggi controllata da Asim Abdullah, tycoon della Sylicon Valley di origine pakistana. In effetti la collezione era un inno alla leggerezza e alla ricchezza cromatica dei lepidotteri con in più una moderna rivisitazione del classico stile della maison. Da qui a dire che è nata una nuova stella nel firmamento della moda, ce ne corre. Ma certo questo solido ragazzone del nord ha dimostrato un discreto talento nell'assemblare forme, tessuti e soprattutto colori. Per esempio gli abiti da sera erano fatti con un doppio strato di leggerissimo chiffon sotto azzurro e sopra rosa ciclamino oppure in due toni diversi di verde «chartreuse» che insieme producevano lo stupefacente effetto di un battito d'ali.
C'era un costume da bagno tagliato a forma di crisalide e poi ricoperto da frammenti di specchio colorati che, riflettendo la luce, lanciavano bagliori di pura seduzione. Sbagliate invece le scarpe: altissime come vuole la moda per la prossima estate, ma con una strana zeppa sfuggente sul davanti che appesantiva il passo delle modelle. Si spera comunque di poter registrare finalmente un successo tra i tanti tentativi di riesumazione delle storiche griffe in corso a Parigi con risultati troppo spesso deludenti.
«Noi siamo felicissimi: nell'ultimo anno il fatturato ha avuto un bel balzo in avanti» ha detto invece Serge Brunschwig, nuovo amministratore delegato di Celine, marchio controllato dal Gruppo LVMH (Louis Vutton Moet Hennessy) disegnato da tre stagioni dalla giovane designer croata Ivana Omazic. «È lei la nuova Madame Celine» ha concluso il manager mentre la stilista spiegava di essersi ispirata per questa elegante collezione al gioco dei contrasti tra leggerezza e gravità che lo scrittore Milan Kundera definisce tra i più ambigui e misteriosi della terra. Perciò i capi erano un nulla addosso, ma fatto benissimo, con tanto di armatura in piume irrigidite (sulla bella gonna di velo nero) e strepitosi trench dal taglio anatomico impreziosito dalle applicazioni di Pvc trasparente. Fantastici gli accessori tra cui si ricorda soprattutto la grande borsa «Double Tote» contenente una seconda borsetta da portare a mano per la sera.
Difficile e a tratti troppo concettuale la collezione disegnata da Riccardo Tisci per Givenchy (altro marchio del potente Gruppo LVMH) che spiega il punto di partenza del suo lavoro con tre parole chiave: Maori (ovvero i tatuaggi riprodotti nei ricami), feticismo (cioè le corde che decoravano alcuni abiti come legandoli al corpo) e baby doll (per le forme). Tutto questo avrebbe dovuto portare a quell'immagine romantica e dark allo stesso tempo di cui Tisci è l'indiscusso nuovo guru. In realtà la sfilata sembrava troppo pesante anche se non mancavano zampate geniali come i vestiti da sera fatti con mille tubicini di organza nera intervallati da tubi di metallo verde dipinti a mano. Del resto Parigi è piena di stilisti che lavorano con indiscusso talento sul «Famolo strano» di Verdone. Prendiamo il caso di Tao Kurihara, la trentaduenne designer giapponese che lavora con Watanabe alla corte della grande Rei Kawakubo di Comme des Garçons.

La sua sfilata ha avuto come colonna sonora il rumore prodotto dai passi delle modelle sulla passerella coperta di carta da origami. Nello stesso materiale Tao ha realizzato cinque spettacolari crinoline unite alla camicia riassuntive del concetto di collezione. Uno spettacolo poetico, certo. Ma la vendibilità è un'altra cosa.

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