nostro inviato a Bruxelles
Volti distesi e ampi sorrisi nonostante la maratona conclusasi poco prima dell'alba, dopo 16 ore ininterrotte di plenarie e faccia a faccia. Possono tirare un sospiro di sollievo i 25 capi di Stato e di governo uscendo da Justus Lipsius sotto fiocchi di neve sempre più insistenti: almeno per ora la Ue è salva; un terzo ko rischiava di risultare letale.
Ci sono voluti i supplementari e tanta, tanta pazienza dopo l'emergere delle ultime, tignose, richieste di revisione dei conti, protagonisti estoni e polacchi. Ma era fatta: il budget 2007-13 (862,3 miliardi di euro) è definito, come le sue destinazioni. Blair sfodera un sorriso a 24 carati, forse anche perché sa bene che i tabloid britannici, pronti a impiccarlo per le «troppe concessioni» sul rebate, hanno già chiuso e che, tornato a Londra, potrà comparire alla Bbc spiegando come non si potesse acuire le «guerra» con Francia e Germania e mettersi contro pure tutti i nuovi soci di cui proprio Londra ha voluto convintamene l'adesione. Non perde naturalmente l'occasione di far sapere di «avere salvaguardato l'interesse nazionale» in un «accordo estremamente difficile». Pochi dei suoi concittadini, forse, gli crederanno, vista la cessione di 10,5 miliardi di euro nei prossimi 7 anni. Ma al limite ha recuperato in extremis il passaporto d'europeista convinto che in pochi ormai, dopo un semestre di guida grigia e impersonale, erano ancora disposti a concedergli nel continente dove potrebbe avere ancora qualche ambizione politica da spendere. Tesi questa confermata dal francese Douste Blazy che, dopo avere incrociato a lungo la sua lama con i britannici ha voluto riconoscere a Blair «coraggio e intelligenza, visto che ha scelto la Ue e dunque lo scontro interno invece che limitarsi a fare l'uomo di parte».
Sorride, rientrando a Parigi, anche Jacques Chirac: l'accordo di due anni or sono sulla politica agricola che tanto ha concesso ai francesi, non è più in discussione. Manterrà i suoi effetti fino al 2013, anche se tra le decisioni assunte c'è quella di incaricare Barroso e i suoi di ristudiare la struttura del budget e presentare le modifiche - in primo luogo la Pac e il rebate inglese - tra il 2008 e il 2009. Ed è felice naturalmente anche la Merkel, giunta al suo primo vertice come un punto interrogativo e dimostratasi - lo hanno testimoniato un po' tutti i giornali europei - prontissima a indossare le vesti dell'abile burattinaio capace di condurre la storia al lieto fine. «Un buon accordo... », giura monsieur le president. «... Per il futuro dell'Europa», aggiunge e conclude la Bundeskanzlerin.
Soddisfatto anche Zapatero (che appisolatosi per qualche ora prima di rientrare a Madrid si è trovato a dovere far fronte a un incendio divampato nel suo albergo, per fortuna senza troppi danni), visto che la Spagna continua ad avere contributi per le sue regioni più povere. E sollevati apparivano bulgari e romeni che tremavano all'idea di un mancato varo del budget, il che avrebbe potuto comportare un rinvio sine die del loro ingresso in Europa come i macedoni, che alla fine hanno ricevuto l'invocato status di pretendenti all'adesione.
Ma soddisfatti erano anche i componenti della delegazione italiana. Che ci fossero dei sacrifici da fare era già stato messo in conto: fin da giugno scorso Junker aveva sforbiciato i nostri introiti e soprattutto aumentate le spese. Ma si temeva qualche ulteriore sacrificio che non c'è stato. Anzi, alla Farnesina hanno tenuto a sottolineare come nel confuso finale sia migliorato un pizzico il saldo netto (da 0,351 a 0,350) e si siano ottenuti 1,9 miliardi di euro in più di cui 1,4 per il Mezzogiorno (fondi di coesione) e 500 milioni per lo sviluppo rurale. Logico dunque che agli Esteri siano rimasti sconcertati dalla lettura negativa del summit data da un quotidiano romano che ha vissuto la nottata forse più come tifoso che come testimone. Del resto in campo politico non si alzano voci negative da sinistra per il risultato ottenuto (solo D'Alema si dice preoccupato per le sorti del Sud). Mentre viene da Marcello Pera, che guarda un po' oltre il contingente, un commento amaro sulla due giorni di Bruxelles: «L'accordo sulla spartizione degli spiccioli non ferma certo la crisi della Ue».
La parola a questo punto passa all'Europarlamento che proprio sul budget ha uno dei pochi voti che contano davvero.
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