Francesca Caria
Correggere il francese, semplificarlo, modificando la grafia delle parole per renderla più simile a come si legge. È la proposta - un po’ insolita se si pensa al tipico orgoglio d’oltralpe per le tradizioni della grande France - lanciata dallo studioso André Chervel, dell’Istituto nazionale di ricerca pedagogica. L’obiettivo? Risolvere quello che in Francia (ma non solo) è un problema sempre più sentito: l’incapacità di scrivere correttamente delle nuove generazioni. Uno studio del ministero francese dell’Educazione, infatti, ha rivelato che nel 1995 i ragazzi tra i 12 e i 14 anni facevano più del doppio degli errori dei loro coetanei nel 1920. Un problema non da poco perché, secondo Chervel, la «frattura ortografica» potrebbe trasformare il francese in un elemento di discriminazione sociale.
CORRETTIVI
Di fronte a questa minaccia, lo studioso propone alcuni correttivi tanto semplici quanto efficaci. Sostituire, per esempio, il «ph» con la più intuitiva «effe» in parole come «philosophie», e rinunciare definitivamente alla «y» in favore della «i». O, ancora, eliminare le doppie («college» diventerebbe «colege», come suggerisce la pronuncia) e uniformare il plurale dei sostantivi con l’utilizzo di una semplice «s». In questo modo, i ragazzi imparerebbero l’ortografia senza costringere la scuola a sacrificare troppe ore all’insegnamento della grammatica, «togliendo spazio ad insegnamenti moderni di grande importanza». Insomma, magari il francese perderebbe un po’ del suo complicatissimo charme, ma sarebbe accessibile a tutti.
A questo punto, tornando al di qua delle Alpi, la domanda viene da sé: in Italia, dove si parla da tempo con preoccupazione di «analfabetismo di ritorno», sarebbe possibile pensare a una riforma linguistica simile a quella di cui discutono gli studiosi francesi?
PARLATO E SCRITTO
Silvano Nigro, professore di letteratura italiana alla Normale di Pisa, mette le mani avanti. «In Francia la lingua parlata e modernamente scritta è abbastanza antica - spiega -. L’italiano corrente, invece, ha appena una sessantina d’anni: è modernissimo». E di sicuro, puntualizza Giulio Ferroni, storico della letteratura, scrittore e giornalista «non avrebbe senso modificare la nostra ortografia, già semplicissima: quella francese è molto lontana dalla pronuncia, mentre in italiano c’è una corrispondenza quasi totale tra come si legge e come si scrive».
Diverso, tuttavia, è il discorso per sintassi, lessico e coniugazioni. «Non si può certamente intervenire “per decreto” - sottolinea Nigro -. Piuttosto sarebbe opportuno accettare i cambiamenti naturali dell’italiano, che come ogni lingua si modifica in base all’uso che ne fanno i parlanti».
IN ESTINZIONE
Via libera, quindi, all’abbandono del congiuntivo: «Le nuove generazioni non lo usano quasi più: se la gente preferisce l’indicativo, tanto vale rassegnarsi». Lo stesso ragionamento vale per i condizionali. «Stanno scomparendo, come del resto, in generale, tutte le subordinate: oggi infatti si preferisce usare la paratassi, cioè le frasi coordinate dello stesso livello». Più restio a dire addio alle subordinate Giulio Ferroni («Sono complicate perché esprimono la complessità del pensiero») che tuttavia apre agli anglismi: parole inglesi vere e proprie come «convention» o termini italianizzati quali «approccio», ormai entrati nell’uso comune. «L’importante è non abusarne». Ferroni elenca anche altre trasformazioni, discutibili, a suo parere, ma apparentemente inarrestabili: la scomparsa del passato remoto - sempre più spesso sostituito dal passato prossimo - e l’utilizzo del pronome «gli» anche al plurale, al posto di «loro».
Per entrambi l’importante è garantire l’insegnamento della grammatica a scuola: altrimenti l’italiano rischia di essere, osserva Nigro con una provocazione «l’unica lingua straniera che non si studia in Italia». E Ferroni lancia una proposta: confrontare in aula i diversi livelli della lingua, per insegnare ai ragazzi come usarla. Dall’articolazione di un discorso complesso alla semplificazione più estrema. Quella degli sms.
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