Qualche anno fa, nel corso di un intervento chirurgico, aveva rischiato seriamente la vita e quando al risveglio dall’anestesia gli era stato comunicato che aveva quasi varcato la soglia alla quale tutti siamo destinati si era arrabbiato moltissimo: «Ma come, stavo per morire, e non lo sapevo?». Ora Alessandro Maggiolini, vescovo emerito di Como, se n’è andato davvero, consumato dal Parkinson e da un tumore ai polmoni. L’unico italiano che aveva preso parte alla squadra dei redattori del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, coordinata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, il «vescovo leghista» secondo una semplificazione giornalistica scaturita da alcune sue prese di posizione su immigrazione e integrazione, si è spento ieri sera all’ospedale Valduce di Como. Aveva 77 anni.
Alla morte aveva dedicato un libro, intitolato «La santa paura». Nell’ottobre 2006, rispondendo a una domanda del Giornale, aveva detto: «Sì, ho paura di morire. Ho paura perché di là incontro il giudizio divino, il Crocifisso che ti perdona se ti lasci perdonare. Ho paura perché morire ti costringe all’incontro inevitabile con un dolore. Un dolore che in vita provi una sola e unica volta. Certo, se poi uno non crede, può puntare la canna di una rivoltella alla tempia e illudersi di aver risolto tutti i problemi».
Già ormai immobilizzato sulla sedia a rotelle, aveva continuato a farsi portare in cattedrale per confessare i fedeli. Nei giorni in cui l’Italia discuteva il caso Welby, aveva detto: «Quando qualcuno invoca l’eutanasia sta chiedendo di tenergli la mano. Vuole che gli si accarezzi la fronte, gli si asciughi il sudore. Vuole che gli si dicano quelle poche parole che contano per varcare la soglia dell’aldilà. Dietro l’eutanasia c’è un desiderio di solitudine».
Nato a Bareggio il 15 luglio 1931, ordinato sacerdote il 26 giugno 1955, docente di filosofia nei seminari ambrosiani e di introduzione alla teologia all’Università Cattolica, Maggiolini era stato uno dei più stretti collaboratori del cardinale Colombo. Vicario episcopale per le università di Milano, era stato nominato vescovo di Carpi il 7 aprile 1983. Sei anni dopo era stato trasferito alla diocesi di Como.
Alieno da qualsiasi trionfalismo, aveva dedicato un libro a «La fine della nostra cristianità»: «Temo molto che l’ottimismo sia una virtù degli imbecilli se virtù è. Non è colpa mia se all’interno di ambienti ecclesiastici è invalsa l’abitudine di mettere gli occhiali rosa per assicurare che il mondo cattolico presenta sì qualche zona d’ombra, ma sta vivendo un’epoca gloriosa. Ma va. Per chi crede, la vicenda dell’umanità è guidata dal Signore Gesù padrone del destino dell’uomo e del cosmo.
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