di Stefano Zecchi
MAveva fatto quattro passi su e giù per il negozio, si era di nuovo seduto, dicendo alla commessa che le scarpe andavano bene. Poi, prima di farsele impacchettare, le strofinò con energia contro il gradino del negozio. Le girò e rigirò con attenzione, osservando soddisfatto il risultato della sua operazione: le scarpe nuove erano adesso strisciate e sporche in più punti. Le pagò e se ne andò via.
Questo accadeva almeno una quarantina danni fa: il cliente aveva tutta laria dellintellettuale, con i capelli trasandati e la barba incolta, con la giacca di velluto a coste e i pantaloni stazzonati. Le scarpe appena acquistate erano le Clarks (quelle che ieri hanno perso il loro ideatore, Nathan Clark, morto alletà di 94 anni). Nella divisa del contestatore di sinistra, radical chic e un po dandy, le Clarks erano un accessorio fondamentale dellabbigliamento, ma non potevano assolutamente apparire nuove: troppo borghesi! I colori dovevano essere soltanto di due tipi: marrone o grigio; la suola di para; la pelle scamosciata e senza fodera; laltezza doveva toccare il malleolo e, soprattutto, dovevano sembrare molto vissute.
Erano scarpe comode per ogni stagione: tenevano sufficientemente asciutto il piede dalla pioggia e relativamente fresco destate. Il vero intellettuale di sinistra non poteva che avere quelle scarpe. Eventualmente era disposto a rinunciare alleskimo e accettava di variare giacca e pantaloni, ma sulle calzature non si discuteva.
Erano i tempi del 68 e degli anni a seguire, quando il vero nocciolo della contestazione era mettere in crisi il costume, cioè i modelli convenzionali del comportamento quotidiano con genitori, amici, amiche, professori. La moda era il biglietto da visita del bravo contestatore. Ricco o povero che fosse, se vestiva in quel modo era immediatamente considerato un compagno, cioè uno di quei giovanotti che occupavano le università nel nome della propria idea di democrazia, oppure uno di quegli intellettuali che di lì a poco avrebbero giudicato i terroristi rossi dei compagni che sbagliavano.
Tutto si svolgeva in superficie, sulla fragile apparenza della moda: sparita quella moda, il contestatore perse la sua identità, svanì anche lui con le sue Clarks, lasciando dappertutto disastri che non sono stati ancora completamente riparati. E le Clarks scamosciate, con la para, alte fino al malleolo non si videro più, pur essendo belle e originali.
Ma la moda è crudele: quando è superata, segna il tempo che se ne è andato, e chi pensa di poter ritornare al passato è sciocco o nostalgico. Così anche la qualità estetica delle Clarks è stata sacrificata sullaltare della non-più-moda.
Non è un caso che fossero state scelte come calzature dal contestatore, dal radical chic più o meno intellettuale. Arrivavano dallInghilterra e, quindi, un tocco di snobismo, pur nella predica rivoluzionaria, non guastava. Erano indubbiamente originali, non avevano nulla di classico, possedevano una indubbia eleganza che consentiva di indossarle in ogni circostanza della giornata: sia durante il tradizionale corteo sessantottino, quando i contestatori correvano inneggiando con ritmo cadenzato a Lenin, Stalin e Mao-Tse-Tung, sia quando alla sera andavano al cinema a vedere un film di Bellocchio o Antonioni.
Formidabili, in quegli anni, quelle Clarks: peccato che fossero diventate più che una moda una ideologia. Molti si sono privati del piacere di indossarle non sentendosi sinceramente adatti a quelle calzature. E poi quelle scarpe non sarebbero sparite, o quasi, dal mercato.
Qualche mese fa ero a Londra e, passando davanti al negozio di scarpe che aveva come insegna luminosa il nome Clarks, tiro avanti con indifferenza. Poi ci ripenso e rifletto sul fatto che, pur avendo dato una rapida occhiata alla vetrina, non avevo visto esposte le Clarks di un tempo che fu. Torno indietro, guardo bene, e infatti non cerano.
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