Il Duce lo faceva senza nemmeno togliersi gli stivali, ma non per feticismo da cuoio, semplicemente perché, come in tutto, andava di fretta. Di d’Annunzio è rimasta celebre la vulgata che si fosse fatto «liberare» una costola per poter compiere dei giochi di bocca in solitaria, e per quanto può non essere vera è assolutamente verosimile... Basta leggersi i bigliettini del Vittoriale firmati «Frate Gabriel priore indegno», «Frate gentile», «Piccolo seguace di Sant’Antonio», propedeutici tutti a notti di lussuria, per capire che, sino alla fine, la fantasia erotica non gli fece difetto. Di Proust è nota la passione per i topolini, di Céline le lettere alle amiche in cui esortava sempre a cedere l’entrata posteriore, e quindi ad accedervi, ma le scriveva da medico, una forma sicura di contraccezione sosteneva... Senza scomodare il Kamasutra, o le noiose pagine del Sade delle Centoventi giornate di Sodoma, il «famolo strano» reso immortale da Carlo Verdone ci accompagna da quando il sesso è questa cosa qui, animale e intellettuale, una guerra fisico-sentimentale da cui come arma è bandito il pudore, ovvero la vergogna.
Nei giorni scorsi è venuta fuori sulle pagine della cronaca di Milano la scoperta di una casa d’appuntamenti specializzata in pratiche di dominazione. Lei si veste di lattice e impugna la frusta, lui china il capo e subisce, cioè ubbidisce. Poi, umiliato e offeso, ma sessualmente appagato, torna a casa e magari ha un fremito di indignazione se la moglie gli ricorda il caso di quel gentiluomo inglese che si faceva frustare in un’orgia nazi-sadomaso. «Che depravato» dice, «che pervertito». L’inferno sono sempre gli altri.
No, nomi di viventi non ne facciamo, che siano manager d’Oltremanica, giovani imprenditori di gran lignaggio, calciatori famosi, illustri chirurghi, perché poi chi siamo noi per sindacare sui gusti sessuali altrui? E loro che colpa ne hanno se il «famolo strano», appunto, tira più (mai verbo è stato più appropriato) della «posizione del missionario» o dello «spegni candela»?
Bisogna dire la verità, siamo rotti a tutto (anche qui vale la parentesi di cui sopra). Al Festival di Cannes dello scorso anno uno dei film presentati, Shortbus, fra le varie scene di coito multiplo di cui si componeva aveva la sua apoteosi in un trittico omosessuale maschile in cui un attore usava il pene dell’altro come un microfono per intonare «God Bless America», l’altro gli fischiettava lo stesso motivo fra le natiche, il terzo si masturbava seguendo il ritmo... Di che cosa dobbiamo ancora stupirci?
Il fatto è che la carne può anche essere stanca, ma la mente è insonne, non dorme mai, sogna sempre, e spesso in maniera non sessualmente corretta. Dicono gli esperti che una delle fantasie notturne femminili più frequenti sia quella della violenza carnale a opera di uno sconosciuto, e magari chi la fa è la stessa donna che se le rivolgi un complimento innocente ti denuncia per mobbing... Dicono ancora che fra i maschi ci sia quella di vedere la propria «lei», moglie, amante, fidanzata, spupazzata da altri, e magari chi vi indulge ti tira un cartone se fai un apprezzamento garbato sulla diletta in questione... Certo, fra il sognare e il fare, direte voi... Eppure, a passare il Rubicone che separa il pensiero dall’azione, lo sappiamo tutti che il numero è legione.
Come moderni ci illudiamo di aver inventato tutto, anche il piacere, con o senza «depravazione», ma in realtà continuiamo ad andare al traino di ciò che è stato, «barche controcorrente risospinte senza posa verso il passato», secondo una bella immagine di Francis Scott Fitzgerald... L’Ars amandi di Ovidio è di prima di Cristo, il Decamerone di Boccaccio segna l’umanesimo medievale, alla Grande Bibliothèque di Parigi ha tenuto banco un’esposizione libraria sul Settecento proibito dove è tutto un fiorire di libertinismo malizioso e impudico. Resta immortale la frase che un nobile romano disse a un giovane hippie americano che irrideva l’Italia moralista e un po’ sessuofobica della prima metà degli anni Sessanta: «Quando voi stavate ancora nelle capanne, noi eravamo già froci».
È insomma un terreno scivoloso e prima di rilasciare patenti di «normalità» e del suo contrario bisognerebbe farsi tutti un esame di coscienza. In fondo è da ragazzini che si comincia a fare «il gioco del dottore e dell’infermiera» e se crescendo c’è qualche adulto che ancora si eccita all’idea di un clistere, perché farlo sentire in colpa? Comunque si purifica.
Certo, possiamo anche fare i virtuosi, gli sdegnati, i sopraccigliati. Ma allora dovremmo spegnere la televisione, non andare più al cinema, evitare di leggere romanzi. Lolita di Nabokov uscì in una collana di libri pornografici, ma noi sappiamo che è uno dei grandi romanzi del Novecento.
Certo, possiamo illuderci, all’incontrario e rispetto all’illusione di poc’anzi, che un tempo si fosse più morigerati, che è tutta colpa della società dei consumi, dell’eguaglianza dei sessi, e perfino del destino cinico e baro di saragattiana memoria. E invece dobbiamo dirci che è la democrazia, bellezza, e non puoi farci niente se ciò che un tempo era filtrato dalle classi sociali, dalle appartenenze, dall’educazione, adesso è spalmato dappertutto, non è più necessario essere un nobile per poter inalberare facili costumi, puoi essere anche un ragioniere, un parrucchiere, un meccanico...
Diceva Oscar Wilde che nell’atto sessuale la posizione era scomoda, il piacere minimo, l’insieme ridicolo, ma barava. Normale e/o strano resta uno dei più grandi interessi del genere umano e probabilmente il più grande argomento di conversazione. Andate in una palestra a sentire di cosa chiacchierano maschi e femmine negli spogliatoi, fra una seduta di attrezzi e una doccia, e poi ditemi se non ve ne andate arrossendo...
Io non so se Carlo Verdone, ancora lui, ha ragione quando nel suo ultimo film che rifà il verso a un personaggio di dieci anni fa, sostiene che in fondo l’unico modo di «farlo strano» oggi è quello di farlo normale... Magari è così, e segna un’inversione di tendenza, solo che la normalità non esclude l’eccellenza e la mediocrità e anche qui, insomma, ci sarebbe da aprire un contenzioso davvero interminabile.
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