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Ma gli affondi dei compagni fanno sbiancare Massimo

L’ex presidente della Camera e la Bandoli i più critici: «La vicenda getta un’ombra su di noi». E l’ex premier, fin lì impassibile, si mette le mani sul volto

da Roma

Che immagine, i volti terrei di quei due: Massimo D’Alema per quattro ore non muove nemmeno un muscolo, una statua di sale, pietrificato; poi, durante l’intervento di Fulvia Bandoli leader della minoranza ecologista (lo citeremo) improvvisamente ha un crollo e si mette le mani in faccia, pare disperato: fino ad allora ha la mascella serrata sotto i baffi, il petto in fuori, come un generale della Nasa davanti ad una commissione d’inchiesta, lo sguardo fiero o incurante, sembra che trattenga il fiato in apnea. Al suo fianco, Piero Fassino, è il ritratto ossificato ed elettrico di un’anima in pena: gli occhi scavati si girano di qua e di là, mentre lui si mette le mani sulla guancia, sul naso, sulla montatura degli occhiali e apre la bocca per prendere piccoli e rapidi respiri asmatici, come un pesciolino che boccheggia; il presidente esibisce la sua grinta, il segretario si contorce, si piega, soffre. Il gelo dalemiano e il tormento fassiniano, la loro scultorea complementarietà, sono l’immagine che ti resta della direzione diessina di ieri, quando ti rendi conto che in questo dibattito le parole sono state leggere, volatili, e spesso un po’ ipocrite. Le facce no, quelle restano, e fanno impressione. Immaginatevi allora che i visi dei due leader fossero i sottotitoli di ciò che le parole velavano o non potevano dire. E che le facce parlassero perché la politica ieri era costretta a tacere.
La chiave del dibattito è tutta qui, e spiega quelle espressioni: il Correntone ha patteggiato nella notte il suo sostegno e cinguetta parole unitarie, mentre il giorno prima distillava propositi guerreschi (risultando poco credibile sia nel primo che nel secondo caso); Walter Veltroni punge e se ne va. Il sindaco di Roma difende i leader, ma spiega che la politica non deve occuparsi di finanza, che l’autocritica (quella degli altri) è necessaria: «Tanto più forte, limpida e intransigente è la critica a certi comportamenti - ricorda - tanto più si è forti nel respingere la campagna di menzogne». Poi un siparietto fenomenale: Veltroni dice che ci vorrebbe un’altra Bicamerale per riscrivere le regole ed evoca la controparte, Silvio Berlusconi: «...Ovviamente ci vorrebbe anche un altro interlocutore che lo faccia davvero». A quel punto D’Alema alza la mano: «...Se è per questo ce ne vorrebbero altri due, perché io... ho già dato» (siamo ancora una volta al «Caro Walter» - «Caro Massimo» di sempre). Sergio Cofferati non interviene (ma ha consegnato parole affilate ad un’intervista de L’Espresso che esce venerdì); tutti gli altri iniziano esprimendo grandissima «solidarietà» a Fassino e D’Alema, dicono i due scongiuri di rito contro l’aggressione dei Poteri Forti e di questo giornale (persino Enrico Morando, poverino sembra che ci creda) e poi - un minuto dopo - rovesciano sui due poveretti invettive e distinguo. Qualcuno - Giorgio Napolitano e la Bandoli - lo fa a schiena dritta. Ovvero: solidarietà autentica e critiche strappapelle. Quasi tutti gli altri senza crederci: solidarietà formale, distinguo loffi, allusioni ambigue.
Visto che il dramma non può rivelarsi, a tratti va in scena il grottesco. Come quando Luciano Pizzetti, segretario lombardo, per illustrare il dramma della base, mette in campo quel che ha di più caro: «Compagni! Mia madre non è preoccupata della posizione dei Ds, è preoccupata della nostra immagine...». Proprio in quel momento il tormentato Piero si porta il fazzoletto al naso: Prrrrr. Pizzetti prosegue eroico e continua: «....È preoccupata perché si associa il nome del nostro partito alla questione morale!». E (per pura coincidenza), di nuovo Fassino strombeggia nel microfono: Prrrr-Prrrr. Ecco Morando: solita difesa di ufficio dei due leader («Un dipendente del presidente del Consiglio ha consegnato a un altro dipendente del presidente del Consiglio intercettazioni che sono state pubblicate dal giornale del presidente del Consiglio»), e poi giù con lo spadone sul progetto sponsorizzato da D’Alema: «Il nostro punto di vista non può essere quello dell’Unipol!» (Lui, il leader maximo, è a occhi bassi e non muove nemmeno un muscolo). È la volta della coordinatrice della mozione ecologista, che se la prende anche con gli alleati: «Lasciatemi dire che un pezzo della coalizione non ha dato bella prova di se: ringrazio solo Parisi (sarcasmo? ndr.) per essersi fermato in tempo, dopo la sua intervista di questa estate». Poi una prima botta a Fassino: «Vedi Piero: il tifo sarà anche una passione, un sentimento, ma non è politica».

E quindi la stangata sul progetto dalemiano: «Questa vicenda getta un’ombra su di noi: avere un giornale di riferimento, un’impresa di riferimento e una banca di riferimento è un’idea un po’ vecchia della politica». D’Alema ancora una volta tace, si mette le mani sulla faccia. Ci sono gesti che contano più di una parola.

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