Afghanistan, bomba contro gli italiani: altri tre alpini feriti

L’ordigno è esploso al passaggio del veicolo militare a 90 chilometri da Herat, nella zona sotto controllo delle nostre truppe. I soldati rientravano da un sopralluogo a una scuola in costruzione

Un altro attentato contro le truppe italiane in Afghanistan a poco più di 24 ore dalla trappola esplosiva che ha ucciso un alpino e ferito cinque militari a pochi chilometri da Kabul. Questa volta l’attacco è avvenuto nella parte occidentale del Paese, dove gli italiani comandano i quattro centri di ricostruzione provinciale (Prt) dal capoluogo di Herat, vicino al confine con l’Iran.
Alle 16 locali, le 13 e 30 in Italia, un mezzo italiano è stato investito dall’esplosione di un ordigno. La deflagrazione ha ferito lievemente tre militari italiani, mentre l’interprete afghano che viaggiava con loro è grave, ma non versa in pericolo di vita. I soldati feriti fanno parte del 3° Reggimento alpini della brigata Julia, con sede a Tolmezzo. Si tratta del caporal maggiore scelto Marco Loi, 26 anni, di Cagliari, del primo caporal maggiore Salvatore Anzalone (23) di Palermo e del primo caporal maggiore Giancarlo Parillo (26) di Capua (Caserta). Nel convoglio avrebbe dovuto esserci anche Claudio Belli, un idrogeologo, che lavora per la Cooperazione allo sviluppo, ma all’ultimo momento non ha partecipato alla missione.
Lo scarno comunicato del ministro della Difesa spiega che gli italiani si trovavano circa 90 chilometri a sud di Herat, nei pressi di Shindand, un’ex base sovietica occupata dalle truppe americane. Il veicolo apparteneva al Prt italiano di Herat, ma non è chiaro se si trattasse di un gippone protetto o dei fuoristrada bianchi, non blindati, che gli italiani dei reparti Cimic, specializzati in cooperazione civile militare, usano per dare meno nell’occhio e mantenere un basso profilo.
I nostri soldati stavano rientrando dopo un sopralluogo a una scuola in via di realizzazione, nel contesto dell’impegno per la ricostruzione del Paese, nel villaggio di Shirzad. I feriti sono stati subito evacuati in elicottero e trasportati all’ospedale da campo della base di Herat, dove ha sede il comando italiano per le quattro province occidentali dell’Afghanistan e la gran parte dei 750 uomini del contingente. La zona di competenza italiana è relativamente calma rispetto al sud e all’est del Paese confinanti con il Pakistan. Nel distretto di Shindand, dove è avvenuto l’attentato, la situazione, però, è spesso tesa a causa della faida fra Amanullah Khan e Ismail Khan, due signori della guerra rivali. Il primo è un pashtun, alleato degli americani, che ha sempre contrastato il Leone di Herat, Ismail Khan, tajiko ex governatore della città e membro del governo Karzai. Il 18 settembre una serie di esplosioni a catena nei dintorni della moschea Blu di Herat ha provocato una strage fra poliziotti e civili afghani. L’obiettivo era un funzionario dell’amministrazione provinciale, ma dietro l’attentato si sospetta una vendetta fra comandanti locali.
Nella provincia di Baghdis, sotto comando italiano, è stata segnalata la presenza di combattenti stranieri legati ad Al Qaida, ma la vera zona calda è Farah, confinante con la zona di Herat. Nella provincia sud occidentale sono stati feriti, qualche settimana fa, i quattro uomini degli incursori della Marina in un attentato che potrebbe essere simile a quello di ieri. Proprio a Farah l’esercito e la polizia afghani hanno lanciato l’operazione Wyconda Pincer per la riconquista di alcuni distretti che erano stati occupati dai talebani, provenienti da sud, dove i combattimenti con le truppe Nato sono più aspri.
Nella zona di competenza italiana un altro fattore destabilizzante è il traffico di oppio. Herat è il crocevia del flusso di droga che esce dal Paese via Iran e Turkmenistan. Quest’anno la coltivazione di oppio ha raggiunto un livello record mai registrato prima. Si stima che il raccolto raggiunga le 6.100 tonnellate di papavero, il 49% in più rispetto all’anno precedente.

La produzione di oppio da lavoro a quasi tre milioni di afghani e servirà a produrre il 90% dell’eroina mondiale. I talebani incassano un pizzo per far passare liberamente i carichi di oppio e non a caso hanno distribuito volantini ai contadini invitandoli ad aumentare le coltivazioni di papavero.

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