Luigi Mascheroni
Osceni? Non proprio. E neppure volgari. Piuttosto, divertenti e maliziosi. Testimonianza preziosa, anche se di grana grossa, di un mondo che sta per scomparire, un mondo fatto di persone semplici, «di paese»: contadinotti, balordi, perdigiorno, dongiovanni veri e presunti, comare, zitelle e vedove inacidite. Sono loro i padri e le madri dei proverbi in dialetto lombardo - tutti deliziosamente licenziosi - raccolti negli anni dal lombardissimo Piero Chiara. Dimenticati a lungo dentro a un cassetto nello studio del suo appartamento di Varese, i Proverbi erotici lombardi sono stati recuperati da un vecchio amico dello scrittore, Federico Roncoroni, e oggi pubblicati dalla casa editrice Es in occasione dei ventanni dalla morte di Chiara, scomparso nel dicembre del 1986.
La sessualità, i rapporti tra marito e moglie, la sfera dei bassi istinti e delle funzioni fisiologiche sono da sempre il campo prediletto nel quale si esprime - con un realismo crudo ma ineguagliabile nella sua precisione - la saggezza popolare. Tanto acuta quanto sferzante. Un «punto di vista» privilegiato, che incuriosì Piero Chiara fin dai tempi della stesura del romanzo Il piatto piange, agli inizi degli anni Sessanta, come testimoniano le lettere scambiate con lo storico di «cose locali» Luigi Stadera, di Cazzago Brabbia. E così, badando più alla loro carica espressiva piuttosto che alla loro precisione filologica, lo scrittore selezionò, a volte commentandoli con brevi note a margine, quarantacinque proverbi irriverenti ma sempre veri: come negare ad esempio che siano da evitare I cà cunt i crepp/ e i donn senza tett? E che in fondo, Lom e l purscel/ lè sempre bel, perché - come spiega Chiara in nota - «Nelluomo ciò che conta non è la bellezza. Nel porco, altrettanto, in quanto il suo pregio è nel peso e nelle qualità della carne»... I nostri vecchi! Impagabili nella capacità di cogliere una verità eterna in una sola immagine, come quando sentenziavano che nulla ha più forza della seduzione femminile (Tira pusée un pel de figa/ che tri para de boeù) oppure che, in fondo, è meglio sposare una donna bella anche a costo di doverla magari dividere con altri, piuttosto di una brutta che nessuno ci invidierà (Mej mangià una torta in duu/ che una merda de per luu).
Amante del dialetto lombardo (conosceva tutte le varianti dialettali dei venti che soffiavano sul «suo» lago, il Maggiore), irriducibile mangiapreti fino alla fine dei suoi giorni (per quanto da ragazzo avesse studiato in collegio, dal «San Luigi» di Intra al «De Filippi» di Arona), amante del biliardo, dellozio e dei pettegolezzi di paese oltre che raffinato studioso di celebri amatori (grande esperto della vita e delle opere di Giacomo Casanova, attento biografo di Gabriele DAnnunzio oltre che ammiratore della prosa del Boccaccio), Piero Chiara aveva paura di perdere un pezzo del suo mondo.
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