Ah già, il Parlamento

Non ci penso nemmeno a entrare nel merito della diatriba che ha contrapposto il governo al presidente della Camera: la prendo a pretesto per ribadire che il Parlamento, la sua centralità, l’ha già persa da un pezzo. Il problema è che di innocente qui nonc’è nessuno: non il governo, non la maggioranza, non l’opposizione, neppure parte di voi che leggete.

C’eravamo tutti, mentre le preferenze sparivano e la composizione delle liste (tutte le liste) diventava una selezione tipo casting, dove saper spingere un bottone era il più gradito dei requisiti e l’indipendenza intellettuale il più nefasto. Per anni ci siamo arrovellati nel chiederci se il Parlamento fosse migliore o peggiore del Paese, arcano ora risolto: è inutilmente identico, egualmente impotente, finalmente deprivato del maledetto «professionismo della politica» e compiutamente infarcito di quella che un tempo chiamavamo «società civile», ma che oggi si è tradotta solo in una separatezza borghese dalla politica.

Oggi conta solo un’oligarchia di cinquanta politici contrapposti a centinaia di spingitori di bottoni scelti praticamente a caso, piccolo esercito dell’antipolitica (la vera antipolitica) che in Parlamento non ha neppure ancora capito dove

sono i cessi. E siamo così ansiosi di fatti, noi tutti, così voraci di decisioni del Palazzo, ormai, da aver scambiato la funzione legislativa del Parlamento per una bizantina lungaggine di quei perditempo della casta.

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