Per i tedeschi è un traditore, per gli iraniani un mercenario, ma per Ahmadinejad un eroe. Ashkan Dejagah, 26enne centrocampista del Wolfsburg, sta spaccando in tre il mondo del calcio sulla rotta Berlino-Teheran, con il rischio di scatenare l'ennesima bufera diplomatica tra i due paesi. Forse non siamo a livelli da Wikileaks, ma gli ingredienti per un repentino rientro a casa di ambasciatori o comunicati stampa di fuoco ci sarebbero davvero tutti.
Pomo della discordia un calciatore nato da genitori emigrati in Germania nel 1979 in piena rivoluzione khomeinista. Ashkan è cresciuto nell'Hertha di Berlino ed esploso con la maglia del Wolfsburg, fino a guadagnarsi un posto nell'Under 21 tedesca di Dieter Eilts, indossando la fascia di capitano di una nazionale che, come accaduto ai recenti mondiali Sudafricani, non sembra soffrire della sindrome multietnica. Quella che aveva tutti i contorni di una favola col finale annunciato da "tutti vissero felici e contenti", si è tramutata invece in un pasticcio in salsa mediorientale. Nell'ottobre del 2007 infatti Dejagah si è rifiutato di scendere in campo con la Nationalmannschaft a Tel Aviv contro Israele. «Non sono animato da ideologie naziste - si è giustificato - ma nel mio sangue scorre sangue arabo. Non ho alcuna intenzione di affrontare la squadra di un popolo che opprime la Palestina». La notizia ovviamente ha fatto il giro del mondo e la federcalcio tedesca l'ha escluso a tempo indeterminato da qualsiasi impegno internazionale. Per lo scorno di Joachim Löw che aveva in programma una promozione del virgulto di origini iraniane in vista della Coppa del Mondo a Johannesburg.
La storia sembrava ormai morta e sepolta, ma pochi giorni fa ci ha pensato Ahmadinejad a riaprire la ferita. Il presidente iraniano ha chiesto alla federazione iraniana di invitare Dejagah a far parte della squadra nazionale che a gennaio in Qatar disputerà la Coppa d'Asia. Una decisione, come capita sovente a quelle latitudini, maturata all'insaputa del ct Afshin Ghotbi, che pur stimando il giocatore avrebbe preferito rinunciare a facce nuove per non far saltare equilibri tattici costruiti in modo certosino negli ultimi due anni. Ashkan ha accettato di buon grado, e se in Germania la sua decisione è stata interpretata come gesto di sfida alla federazione che l'aveva emarginato, il regime di Ahmadinejad plaude all'arrivo del figliol prodigo che ha manifestato avversione per Israele e che al medesimo tempo è cittadino di quella Germania che a Teheran credono ancora in qualche maniera imparentata con i fantasmi dell'olocausto. Non a caso ai tempi del torneo iridato del 2006 l'Iran, attraverso un portavoce del governo, sottolineò l'entusiasmo per la trasferta in Germania con frasi molto ambigue. Ironia della sorte gli iraniani giocarono la prima partita contro il Messico a Norimberga, città tristemente legata a un processo che secondo il regime di Teheran non avrebbe dovuto celebrarsi.
NellIran il centrocampista del Wolfsburg non è stato comunque accolto a braccia aperte. Giocatori come Nekounam, Karimi, Mahdavikia e Hashemian avevano infatti manifestato simpatie per il movimento capeggiato dal leader dell'opposizione Hossein Mousavi, indossando in alcune gare il celebre polsino verde dell'Onda. Per loro Dejagah è un mercenario, un opportunista che pur di guadagnarsi la vetrina internazionale non ha esitato a gettare ai rovi etica e patriottismo.
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