«Quando limmigrazione non farà più notizia, vorrà dire che lintegrazione in Italia sarà un dato di fatto. Basta vedere città come Francoforte, Londra o Parigi, dove - al di là degli scontri delle periferie che meritano un discorso a parte - da tempo si è creato un ceto medio di ex stranieri ben inseriti». Parola di Frau Monica Ghelfi, insegnante in pensione della Scuola Germanica di Milano, che di immigrati se ne intende.
Intorno agli anni Settanta Monica era ancora la signorina Fengler di Amburgo, una giovane luterana che amava impegnarsi nel sociale: «Mia madre sosteneva che la Germania post-nazista avesse una grave responsabilità storica - racconta -. Riteneva che i tedeschi, anche coloro che non avevano aderito allideologia hitleriana, avessero lobbligo morale di riscattare la propria immagine di fronte al mondo. Che per lei significava contribuire allevoluzione della società che passava anche attraverso laiuto degli altri». Fu così che Monica decise di diventare insegnante e occuparsi delle fasce più deboli. Un giorno conobbe Pierluigi Ghelfi, educatore di bambini handicappati, uno dei tanti italiani approdati in Germania in cerca di lavoro. «Allora erano considerati meno di zero - ricorda - tanto che un giorno la Bildzeitung uscì con il titolo Italiener raus, italiani fuori. Indignata protestai con la direzione del giornale, ma i tempi erano quelli».
Tra Monica e Pierluigi nacque lamore. Si trasferirono a Milano nel 1971, si sposarono, ebbero due figli e lei trovò lavoro come insegnante di Inglese e Religione alla Scuola Germanica in via Legnano, senza mai dimenticare la povera gente: «Aiutavo gli italiani bisognosi - rammenta -. Allora non si vedevano africani, asiatici o sudamericani. Hanno cominciato ad arrivare negli anni Ottanta». Fu così che iniziò a collaborare con le parrocchie, in particolare quella di SantAngelo, a raccogliere mobili, materassi, scarpe e abiti smessi; cose che ancora oggi stipa nel suo appartamento e che regala a chi ne ha bisogno dopo averle sistemate. In casa ospita studenti stranieri o chi si trova in difficoltà, come di recente una romena diciottenne che aveva appena partorito il suo terzo figlio in ospedale e, con il marito, non sapeva dove andare: «Li aiuto nelle emergenze. Ma non ospito chiunque - precisa -, capisco subito se una persona è per bene. Di guai finora non ne ho avuti. Mio marito borbotta, ma poi è contento». Una domenica al mese Frau Ghelfi offre un pranzo ai suoi amici. Ieri al suo tavolo cerano la panamense Patrizia, il messicano Raul, il tedesco Oliver, la turca Yaser, gli srilankesi Shamila e marito, il sudamericano Francisco e Felice di Avellino.
Conclude: «Milano fa molto per gli immigrati, soprattutto attraverso il volontariato. Cosa penso dei clandestini? Vanno divisi tra pericolosi e onesti. Per i primi serve la polizia. Per gli altri ci vogliono delle sanatorie che li legalizzino. Gli industriali sono i primi a sapere che la buona immigrazione rivitalizza leconomia. Ci vorrebbe poi una migliore informazione.
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