Letteratura

Alberto Moravia? Fu un pittore mancato ma un ottimo critico

Una mostra sul rapporto fra lo scrittore e l'arte: i ritratti, la sua collezione, gli amici di talento...

Alberto Moravia? Fu un pittore mancato ma un ottimo critico

Forse il fatto che fosse vanitosissimo ha qualcosa a che fare con la sua feroce passione per l'arte. Infatti Alberto Moravia adorava collezionare i ritratti che gli facevano gli amici pittori e fotografi. Nato per narrare e per essere narrato.

Narratore, narciso, vanitoso, un orecchio sintonizzato sul ritmo della scrittura e un occhio perfetto per la pittura, Alberto Moravia diceva di amare più la seconda che la prima; perché la pittura è fatta di «colori e di forme» e non di un continuo «battagliare con le parole» come la scrittura; però forse è soltanto una boutade... Ma di certo Moravia si chiese più di una volta: Non so perché non ho fatto il pittore. Che è il titolo, azzeccatissimo, di una antologia curata nel 2017 da Alessandra Grandelis per Bompiani con una selezione dei suoi numerosissimi scritti d'arte - distribuiti fra il 1934 e il 1990, anno della morte, su quotidiani, dalla torinese Gazzetta del Popolo al Corriere della sera, sui cataloghi, presentazioni per gallerie, interviste e dialoghi: a suo modo Moravia fu un vero critico militante e oggi lo è di una originalissima mostra aperta alla GAM, la Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea, a Torino.

Curata da Luca Beatrice e Elena Loewenthal, la mostra Non so perché non ho fatto il pittore prova a dare una risposta. Alberto Moravia scarabocchiava su fogli e foglietti, mentre telefonava o ascoltava annoiato conferenze e dibattiti, ma non aveva né mano né tecnica per «fare arte» (un po' come Eugenio Montale, la cui «passione della domenica» ci ha lasciato acquerelli e pastelli dozzinali). Ma la capiva. Che forse è addirittura più importante. In diversi romanzi di Alberto Moravia l'arte si manifesta fra le trame e i personaggi, come il pittore fallito Dino e il suo alter ego Balestrieri, modesto e datato, ne La Noia (1960); Moravia frequentava mostre e gallerie; sua sorella era Adriana Pincherle (1905-96), moglie del pittore Onofrio Martinelli, e a sua volta pittrice: non è entrata nei manuali di storia dell'arte ma ha avuto una sua storia espositiva; Moravia conosceva bene Giosetta Fioroni, compagna di Goffredo Parise, e Titina Maselli, sorella di Citto che nel 1964 diede una vita cinematografica al romanzo Gli indifferenti...

Insomma Alberto Moravia, fra i Sei di Torino e la Scuola di piazza del Popolo, viveva l'ambiente dell'arte, respirava l'arte, trafficava con forme e colori - anche se per interposta persona - oltre che parole. E soprattutto aveva molti amici artisti: Carlo Levi, Renato Guttuso e Mario Schifano, al quale negli anni della pop era legatissimo, ma la cui opera lui che guardava solo al figurativo senza mai spingersi nei territori dell'astrazione forse non amava molto, anche se capiva che l'irrequieto «pittore puma» stava andando verso una nuova pittura...

E ad aprire la mostra, nello spazio Wunderkammer della Gam, è proprio un grande Doppio ritratto, 100 x 196, coloratissimo, che Mario Schifano dedicò a Moravia nel 1983. Poi il percorso procede in ordine cronologico, allineando, dagli anni Trenta agli Ottanta, una trentina di opere che lo scrittore collezionò, o che lo ritraggono, o dei cui autori scelse di scrivere. Ottimo il fatto che nelle didascalie si rincorrano brevi passi degli articoli o dei testi critici di uno scrittore oggi molto meno letto di quando era in vita che si occupò di letteratura certo, e di giornalismo (i suoi reportage per chi scrive restano oggi la sua cosa migliore insieme con i racconti), di fotografia e di cinema (al Cinema Massimo il Museo del Cinema di Torino organizza a marzo un ciclo di proiezioni di film moraviani e una mostra di fotografie dell'archivio di Angelo Frontoni).

L'arte del racconto e il racconto dell'arte. L'immagine e la parola. La pagina, la tela e la pellicola.

Fra le opere più interessanti, più belle e curiose della mostra (anche per riscoprire artisti oggi dimenticati o quasi come Carlo Guarienti, Antonio Recalcati o Sergio Vacchi), secondo un nostro personalissimo gusto, scegliamo: il Ritratto di Moravia giovane di Gisberto Ceracchini, oggi a casa Moravia, dipinto nel 1928, l'anno prima della pubblicazione del suo romanzo d'esordio, e il più celebre: Gli indifferenti, e infatti lo scrittore è così giovane da essere irriconoscibile; il Ritratto di Moravia di Carlo Levi, del 1930, modiglianesco con quel collo da romanzo; poi La ballerina (1941) di un inconsueto Giuseppe Capogrossi figurativo, del quale Moravia scrive che «Se esiste una pittura pura, come la poesia pura, Capogrossi ne è uno dei cultori più accreditati»; poi un disegno degli anni Cinquanta di Leonor Fini, artista che Moravia seguì con attenzione, e che proviene dalla collezione privata del gallerista milanese Tommaso Calabro; un piccolo e per noi bellissimo olio di Mino Maccari: Capriccio (1956) «Ecco Maccari con le sue rappresentazioni grosziane della vita sociale e politica romana ahimè fin troppo corposa e incombente»); uno di Piero Guccione Sul far della luna (1968-69) dove compaiono le stesse nuvole che si riflettono sulle carrozzerie delle auto di cui Moravia parla in un'intervista del 1979 sulla rivista Bolaffi Arte; e poi non è un quadro ma una foto, famosissima il ritratto di Alberto Moravia scattato nel 1970, in bianco e nero, da Elisabetta Catalano. Ma ci sono anche Mario Mafai, Renato Birolli, Onofrio Martinelli, Fabrizio Clerici, Alberto Ziveri, il torinsese Mario Lattes...

E comunque, alla fine, forse è meglio che Alberto Moravia non abbia fatto il pittore.

Così è diventato un ottimo critico d'arte.

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