All’Auditorium le metafore della città di Titina Maselli

Si tenne nel 2004 alle Scuderie del Quirinale la festa per l’ottantesimo compleanno di Titina Maselli. L’estremo riconoscimento all’artista romana che sarebbe mancata l’anno dopo. Ora una piccola mostra aperta fino al 1° maggio nel Foyer dell’Auditorium, curata dall’Archivio della Scuola Romana, che conserva tutte le sue carte, le rende omaggio, in attesa della grande rassegna monografica del 2007 che Achille Bonito Oliva sta curando per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Insieme ad alcuni disegni preparatori sono esposti dodici grandi tele del periodo più fecondo della sua attività, dagli anni ’60 in poi. Immagini di città, di luci che tagliano la notte, di boxeur e calciatori impegnati nello sforzo. I colori stridenti, la percezione della luce artificiale, rendono ancora più forte l’impatto visivo. C’è anche «Partita di calcio» presentata alla Biennale dell’84. «Il suo angolo visuale - scriveva Crispolti allora - si ferma sul frammento, sull’episodio fugace e istantaneo e ne blocca l’inquadratura, il taglio per un’assunzione emblematica». Titina aveva iniziato negli anni ’40 con i quadri della città, nel ’60 passerà a dipinti di grandi dimensioni, «forse in ricordo del suo viaggio a New York dove rimase alcuni anni - spiega Claudia Terenzi -. Ciò che assorbe è l’idea di metropoli, la dimensione urbana, la compenetrazione tra figura e spazio, il reticolo che si vede è quello dei grattacieli». E qui il pensiero corre al Futurismo e al cinema nei quali il movimento è tanta parte, ai rapporti con le avanguardie e con la Pop Art. Di «poetica di eccezionale coerenza», di «giovinezza d’invenzione e di pittura» di «frenesia dei colori, frantumati e moltiplicati dai riflessi della tecnologia» parla Vittorio Sgarbi, mentre per Lorenza Trucchi la Maselli è uno dei pittori più importanti della prima generazione del dopoguerra, con una «inscalfibile fede nel linguaggio insostituibile della pittura».
Nata a Roma nel ’24 la Maselli si forma in una famiglia in cui la cultura è di casa. È Corrado Alvaro, amico del padre Ercole, critico d’arte de Il Messaggero, a scrivere di lei nel ’48 per la prima mostra alla Galleria dell’Obelisco di via Sistina di Irene Brin e Gaspero del Corso. La prima aperta a Roma subito dopo la guerra in cui esposero artisti come Sironi, De Chirico, Magritte, Moore, Bacon.
Fin dalle prime opere emergono i caratteri della sua ricerca personale. Ciò che la interessa è la città moderna, le periferie, il movimento, le strade, i luoghi della vita collettiva come gli stadi. Un’arte che è intreccio, contaminazione, fra pittura astratta e figurativa. «Dell’astratto mi piaceva il raggelamento, del figurativo la realtà», dice l’artista spiegando il suo modo di dipingere. Presente alla Biennale di Venezia del ’50 e l’anno dopo alla IV Quadriennale di Roma, nel ’52 si trasferisce a New York perché in Italia «c’era una battaglia stupida» fra favorevoli e contrari alla figurazione, dirà. A Roma torna negli anni ’60, dopo aver vissuto per qualche tempo in Austria. La prima antologica si tiene alla Nuova Pesa. Nel ’70 si trasferisce a Parigi. Sono gli anni dei riconoscimenti internazionali, alla Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence, a Berlino, al Grand Palais, e del teatro. Crea scene e costumi per le opere di Stravinskij, Beckett, Bruchner, Henze. Completa la rassegna la conversazione dell’artista col critico Bonito Oliva registrata un anno prima della morte.

Quasi una confessione, una messa a nudo della sua idea di arte e del suo modo d’intendere la vita.
Foyer dell’Auditorium Parco della Musica, viale P. de Cubertin 30. Orario: tutti i giorni 11-18, fino al 1° maggio. Catalogo Skira. Informazioni tel. 06-80241281 e www.auditoriumroma.com

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