Mai accettare un invito a pranzo dall’editore. Una colazione di lavoro, come si dice in questi casi. Così, Carlo de Benedetti ha congedato Daniela Hamaui. Dal 2 agosto il nuovo direttore dell’Espresso sarà Bruno Manfellotto. Otto anni e mezzo fa Giulio Anselmi era stato silurato allo stesso modo, in uno scintillio di calici e posate. Dicono che la Hamaui abbia sgranato gli occhi. Incredula. E anche la redazione ci è rimasta di sasso: l’addio, per di più nel giorno in cui Nicola Cosentino si dimetteva da sottosegretario accusando proprio L’Espresso, diventa quasi una beffa per la direttora. Che l’ha presa malissimo.
Ma la domanda che tutti si fanno ora è un’altra: come cambierà, se cambierà, la linea? Nessuno azzarda risposte tranchant, ci mancherebbe, non c’è stato il tempo per metabolizzare il cambio, ma l’impressione è che De Benedetti voglia un giornale più politico e insieme più aggressivo. Insomma, un antiberlusconismo aggiornato ai tempi, ovvero un ritorno all’antico: All’Espresso di Claudio Rinaldi, di cui Manfellotto fu braccio destro e vicedirettore, nel quinquennio ’92-’97, prima di intraprendere una brillante carriera nelle province dell’impero di re Carlo, dalla Gazzetta di Mantova al Tirreno, fino alla direzione della catena dei quotidiani locali Finegil. Manfellotto sarà probabilmente un direttore politico. Più politico della Hamaui che aveva una sensibilità più spiccata per le questioni sociali, per le battaglie sui temi civili, per esempio la fecondazione assistita, ma scarse, scarsissime frequentazioni del Palazzo.
Certo, riconoscono in redazione, oggi la politica italiana si riduce a Berlusconi e dintorni. Il centrosinistra ha l’elettroencefalogramma piatto, alla fine tutto ruota intorno al Cavaliere. E L’Espresso ha fatto di tutto per azzannarlo. La direzione dell’Hamaui si è progressivamente trasformata, anche con l’arrivo di un agguerrito manipolo di inchiestisti, in un assedio al Cavaliere e al suo governo: la cricca e Balducci, le escort, il caso Cosentino e via di questo passo. Ora, dopo molte vittorie e dopo aver creato imbarazzi a destra e sinistra, l’antiberlusconismo dev’essere ritarato. E forse va ricostruito il rapporto con pezzi della maggioranza in fibrillazione, basti pensare ai finiani, e soprattutto con quel centrosinistra che sembra non esistere più a Montecitorio e Palazzo Madama e volare invece nelle pagine del tandem Repubblica-L’Espresso. Un centrosinistra maltrattato dalla direttora che al discorso del Lingotto dedicava una copertina assai insidiosa: Giro di Walter.
Insomma, De Benedetti non cambia linea. Il suo nemico, anzi la sua ossessione, resta il Cavaliere. Ma le grandi inchieste, i reportage e perfino le foto e i video delle feste a Villa Certosa, che pure hanno trafitto il premier, non l’hanno abbattuto. Anzi, il Cavaliere, pur fra infortuni e scivoloni, è sempre saldamente in sella. E allora De Benedetti deve inventarsi qualcosa di nuovo. Un nuovo che assomiglia a qualcosa che si era già visto all’epoca di Rinaldi. La stagione in cui la Repubblica benediceva la Bicamerale di D’Alema e il tentativo di avviare un percorso comune fra i due poli, e L’Espresso, in un perfido gioco delle parti, si metteva di traverso e sparava in copertina il celebre ritratto di Dalemoni. Da qualche tempo, il settimanale e il quotidiano sembrano l’uno il clone dell’altro. Forse, le antenne del gruppo hanno captato segnali di stanchezza nel pubblico che pure resiste nella crisi generale dell’editoria, e vogliono differenziare i due cugini di carta. La messa cantata a Repubblica, navigazione corsara all’Espresso. Ipotesi.
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