Marta Ottaviani
da Istanbul
«Vi faremo morire tutti. Allah Akbar». Con queste parole ieri pomeriggio Martin Kmetec, sacerdote sloveno, è stato aggredito da un gruppo di uomini a Smirne. Il religioso si trovava nella chiesa di Sant'Elena, una piccola parrocchia di frati conventuali. Sette, forse otto persone, di età compresa fra i 25 e i 30 anni, hanno bussato violentemente alla porta della sua abitazione. Una volta entrati hanno afferrato il sacerdote alla gola, urlando ancora il primo versetto del Corano, Allah è grande, che ormai più che l'inizio di un testo sacro sembra un canto di guerra. Gli aggressori hanno gridato a Kmetec di fare parte di un gruppo di nazionalisti. Il religioso ha riferito l'accaduto alla polizia e ora la chiesa è sotto sorveglianza.
Padre Kmetec ha detto di non voler lasciare la Turchia. Ma in una Turchia ancora sotto choc per l'assassinio di don Andrea Santoro tra i cristiani è tornato il terrore. Monsignor Luigi Padovese, vescovo dell'Anatolia, ha parlato un altro gesto «frutto di evidente fanatismo». Il vicario apostolico ha voluto sottolineare che nel Paese ci sono tantissime persone, la maggior parte, che non nutrono risentimenti per i cristiani. Ma adesso potrebbe non bastare. La situazione sembra sempre più appesa a un filo. Ieri mattina, sulla facciata della chiesa di Nostra Signora di Lourdes a Istanbul, nel quartiere di Bomonti, qualcuno ha scritto Mohamed, Maometto. E poi il fatto di Smirne. Questa volta l'aggressione non si è verificata in quell'Est del Paese che tutti considerano lontano dall'Europa anni luce e non solo dal punto di vista geografico. Questa volta è accaduto in quella Turchia vicina all'Occidente, tollerante e con lo sguardo rivolto a Bruxelles. Smirne non è Trebisonda, relegata sulla sponda del Mar Nero ad accogliere ondate di prostitute provenienti da Russia e Georgia. È una città moderna, la terza della Turchia per importanza dopo Istanbul e Ankara, dove ogni anno arrivano milioni di turisti. Eppure i nazionalisti hanno colpito anche qui.
Le autorità ecclesiastiche cercano, se non di minimizzare, almeno di andare avanti nonostante la paura. Che comunque adesso c'è. Ieri sera, in una blindatissima chiesa di Santo Spirito, a Istanbul, si è tenuta una messa per commemorare don Andrea Santoro. C'erano i rappresentanti di tutte le comunità religiose in città. «Oggi è il giorno del dolore - ha dichiarato al Giornale monsignor George Marovich, portavoce della Conferenza Episcopale turca -. Ma anche della speranza. La speranza che si possa riprendere il cammino verso il dialogo religioso dove don Andrea Santoro lo ha interrotto».
Per quanto riguarda l'aspetto della sicurezza monsignor Marovich ha detto che per il momento nessuno è sotto scorta, ma che se la situazione lo richiederà verranno prese tutte le misure necessarie. «Non siamo tranquilli - ha aggiunto il portavoce vaticano - perché adesso è veramente difficile. Ma fiduciosi sì. Andiamo avanti, sapendo di poter anche contare sulla collaborazione di un governo (quello turco, ndr), che si sta attivando per fronteggiare al meglio questo momento».
Nel frattempo, nella lontana Trebisonda, dopo tre giorni di interrogatori e un prolungamento della custodia cautelare le autorità giudiziarie hanno incriminato ufficialmente Ouzan Akdil per l'omicidio di don Andrea Santoro e lo hanno condotto davanti al tribunale. Rischia dai 20 ai 30 anni di carcere. Se abbia agito da solo, se sia stato istigato da qualche gruppo fondamentalista o se l'omicidio del sacerdote sia connesso anche a una vendetta di stampo mafioso, ancora non è dato di sapere.
Le ipotesi sono ancora aperte e la stampa turca sembra non chiedere di meglio. Nei giorni scorsi le maggiori testate hanno pubblicato notizie, secondo le quali don Andrea Santoro avrebbe cercato di comprare la conversione di alcuni giovani musulmani.
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