Allarme deflazione negli Usa: pioggia di vendite sui mercati

Ha ragione Giulio Tremonti quando dice che questa crisi assomiglia a un videogame: sconfitto un mostro, se ne fa avanti un altro. L’ultimo, tanto subdolo quanto insidioso, si chiama deflazione. È uno spettro che si aggira non più solo in Europa, ma da ieri anche negli Stati Uniti, dopo che l’indice dei prezzi al consumo è calato dell’1% in ottobre. Tanto per essere chiari, non accadeva da 61 anni.
Così, non ancora risolta la crisi finanziaria e tutta da decifrare quella dell’industria automobilistica Usa ed europea, nelle Borse sono scattati gli ordini di vendita nonostante la Germania abbia rivelato l’intenzione della Commissione Ue di presentare un piano di rilancio economico da 130 miliardi, al quale ogni Paese membro contribuirà versando l’1% del Pil. «È un massacro, andiamo giù a candela», diceva ieri sconsolato un operatore mentre le perdite andavano allargandosi fino a costare ai listini del Vecchio continente l’ennesimo sacrificio - oltre 200 miliardi - in termini di capitalizzazione. Annullato il mini-rimbalzo di martedì, i ribassi sono stati in media del 4%, anche se Piazza Affari è riuscita a limitare i danni a un -2,90%. Ai mercati non ha giovato il fatto che quasi la metà delle società poste sotto la lente dagli analisti ha visto calare la scure sui rating alla luce di stime che vedono i risultati 2008 in calo del 10%.
Quanto a Wall Street, la conferma che la Federal Reserve ha ora ampi margini per agire sulle leve dei tassi (probabile un’altra sforbiciata di mezzo punto, allo 0,50%, in dicembre) non ha offerto stimoli alla domanda. Stretti tra gli interrogativi sulla sorte delle (ex) big three di Detroit (Gm in particolare), il continuo capitolare di Citigroup, arretrata al quinto posto per valore borsistico (un tempo era la prima), e senza più la spinta garantita da Yahoo in seguito al defilarsi di Microsoft, gli indici sono andati sotto (-5,07% il Dow Jones, -6,53% il Nasdaq) anche per effetto del taglio alle stime di crescita 2008 da parte della Fed (tra 0 e 0,3%) e dell’ennesima indicazione negativa giunta dal settore edile, dove il mese scorso i nuovi cantieri sono scesi del 4,5%, minimo storico.
Il mattone continua insomma a far rima con recessione, ma a soffrire è l’intera economia. Ecco perché la deflazione viene vista come una jattura. Il calo generalizzato dei prezzi è provocato da una sensibile caduta della domanda, a sua volta causata da un ciclo recessivo. Ciò significa che le imprese, per incentivare gli acquisti, sono costrette a comprimere ulteriormente i prezzi. I profitti si riducono; nella peggiore delle ipotesi, spariscono. Anche per i consumatori le tensioni deflazionistiche non sono una buona cosa: il vantaggio di beni a buon mercato è praticamente inesistente per chi ha perso il posto proprio perché l’azienda per cui lavorava ha dovuto far fronte alla contrazione dei consumi riducendo la produzione e tagliando il personale.

Eppure, un allarme deflazione è forse ancora prematuro negli Usa. I prezzi al consumo su base annua, pur in netto rallentamento dal 5,6% dell’estate, restano in crescita del 3,7%. Per ora, è forse meglio parlare di un più rassicurante processo di disinflazione.

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