A volte ritornano, anzi a volte arrivano. Stiamo parlando dei cervelli, che in Italia non sono solo in fuga. Il Bel Paese possiede diverse isole felici, ambiti approdi per i migliori cervelli in circolazione. Il recente successo del Salone del Mobile di Milano ha dimostrato, con laumento dei visitatori e degli espositori, che il «made in Italy» è tuttaltro che morto: basta dare unocchiata ai curricula dei creativi di nuova generazione di tutto il mondo per constatare un comune denominatore: unesperienza (università, stage o studio) in Italia, a Milano in particolare.
Le eccellenze italiane non si limitano al design e alla moda: a Roma, al Tempio di Adriano, si è tenuto «The Brain revolution», forum dedicato alle nuove frontiere di ricerca sul cervello: organizzato da Brain Circle in collaborazione con la Camera di Commercio di Roma e in omaggio ai 101 anni compiuti giovedì da Rita Levi Montalcini, levento ha radunato uno stuolo di luminari italiani e stranieri. Così come accade per il design, le neuroscienze hanno in Italia molti centri deccellenza. Famoso è il cosiddetto «gruppo di Parma», un manipolo di neurologi italiani che ha scoperto una decina di anni fa i «neuroni specchio», ricerca che ha riscosso scalpore nella comunità internazionale e dato nuovo impulso agli studi.
Del valore della «scuola italiana» parliamo con il professor Pietro Calissano, braccio destro della Montalcini e attivo allEbri (European Brian Research Institute), istituto fondato dalla nota scienziata e dedicato allo studio delle neuroscienze: «In Italia soffriamo spesso di esterofilia e diamo maggior risalto a studi e ricerche fatti altrove: i lavori del gruppo di Parma sono fondamentali, ma anche andando a ritroso nel tempo, agli inizi del secolo scorso, lo studio del cervello e dei neuroni debbono molto agli scienziati italiani, come Golgi ad esempio». Se il futuro della ricerca passa per le neuroscienze («questo sarà il secolo degli studi sul cervello», sostiene Calissano), lItalia non intende stare a guardare. LEbri, nonostante le difficoltà per trovare una sede definitiva, è un esempio di vitalità: i ricercatori sono pochi (una ventina, divisi in cinque gruppi), ma selezionati. Il 70% è donna e quasi tutti sono under 40, perché è sui giovani e sui «camici rosa» in laboratorio che listituto ha voluto investire. Tra loro anche Hélène Marie, 35 anni, due figli piccoli. Professione: neuroscienzata, anzi capo-ricerca. Natali a Parigi, una laurea presa in tempi rapidissimi e con il massimo dei voti, ha lavorato in Inghilterra e speso anni preziosi negli Stati Uniti, nei centri di ricerca alla Stanford University, in California. Da cinque anni Hélène è un cervello d'importazione: lavora a Roma, all'Ebri. «Volevo essere indipendente -spiega Hélène-, avere il mio laboratorio e poter gestire da sola tutte le fasi, selezionando gli studenti e i ricercatori con cui condividere le mie linee di ricerca. Mi hanno offerto le stesse opportunità che avrei potuto avere in America».
Alle neuroscienze come terreno fertile per i cervelli italiani ha pensato la giornalista Viviana Kasam che, attraverso lassociazione Brain Circle, si adopera per la divulgazione delle scoperte in questa disciplina: «Il forum romano vuole essere linizio di un rilancio della ricerca in Italia, da sempre screditata: vorremmo trasformare Roma in una Davos del cervello», annuncia. Andrea Mondello, presidente della Camera di Commercio di Roma, puntualizza: «lItalia investe ancora troppo poco in ricerca e sviluppo, 1,2% del Pil, a fronte di un obiettivo di Lisbona del 3%, e anche per questo si verifica il fenomeno della fuga dei cervelli». Mancano i soldi e ancor di più la meritocrazia, in un Paese dove sono ancora troppi i baroni universitari, è vero; ma qualcosa sta cambiando.
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