Un altro colpo alla mafia Preso l’uomo di fiducia dei boss di Cosa Nostra

In attesa di capire chi diavolo siano a Milano i boss del terzo millennio, continua l’ecatombe dei mafiosi con i capelli bianchi. Dopo Gaetano Fidanzati, arrestato in via Marghera all’età in cui la gente in genere si gode la pensione, ieri tocca a Ugo Martello, 69 anni: la Dia va a bussare di buon mattino alla sua bella casa in via Nino Bixio, lui viene colto totalmente alla sprovvista ma non fa scene, raccoglie signorilmente le sue cose e via verso il carcere. Due giorni fa gli avevano rifilato quindici anni per un paio di estorsioni (una pena mai vista, ma sono cose che succedono quando hai una fedina penale alta come l’elenco del telefono), lui era convinto di poter aspettare in pace il processo d’appello, invece il pubblico ministero Celestina Gravina e il giudice Giuseppe Gennari sono stati di diverso avviso.
Martello non è mai stato un boss e probabilmente non ha neanche mai tenuto a diventarlo. Ma è un comprimario di straordinaria intelligenza che ha attraversato vent’anni della storia di Cosa Nostra a Milano, sempre accanto ai numeri uno: i Bono, i Fidanzati, Liggio. C’è una frase che ricorre nei verbali in cui si parla di lui: Martello è quello che «mette a disposizione». È l’uomo fidato cui i boss si possono rivolgere per un appartamento, un contatto, un affare. E alla sua presenza che si consumano pagine quasi mitologiche della Milano nera. Tommaso Buscetta racconta che è in un appartamento milanese messo a disposizione da Martello e Fidanzati nel 1970 che si riunisce la cupola - c’è anche un giovane Salvatore Riina - per parlare anche del golpe Borghese, per cui il fondatore della X Mas aveva chiesto l’appoggio di Cosa Nostra. E nell’ufficio di via Larga di Ugo Martello che - secondo un altro pentito, Francesco Di Carlo - una quindicina d’anni dopo si ritrovano i nuovi padrini, Mimmo Teresi e Stefano Bontade, saliti a Milano per investire i quattrini del narcotraffico nell’economia pulita. Da questi racconti si intuisce un Martello presente ma discreto. Nel 1984 arrestano anche lui insieme a Luigi Monti e Antonio Virgilio nel primo blitz contro la mafia dei «colletti bianchi». Il «professore» - come Martello viene chiamato in quegli anni - non si agita e non strepita, e i fatti gli danno ragione perché la Cassazione alla fine assolve tutti: «I rapporti finanziari e d’affari, appunto perché tali, con persone ritenute malavitose non possono essere valutati come elementi di prova di appartenenza ad un sodalizio criminale» scrive il giudice Carnevale.
Da allora, è tutto un entra ed esci dal carcere.

Da ultimo, l’indagine sul clan di veterani che si ritrovava all’Ebony Bar di via Porpora. Custode di mille segreti, Martello avrebbe potuto più volte trarsi d’impiccio cantando. Ma se non lo ha fatto finora, appare improbabile che la lingua gli si possa improvvisamente sciogliere adesso, a fine carriera.

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