Roma

Ama Senegal, per Dakar è uno «scandalo»

Massimo Malpica

Una bufera di immondizia circonda la storia degli affari africani dell’Ama: gli ex dipendenti della branca senegalese della spa capitolina esultano per la decisione del governo di rescindere il contratto, e rivendicano il mancato pagamento dei contributi. E intanto l’ultima domanda che ci si fa a Dakar è come abbia fatto Alvaro Moretti a lasciare il Paese.
Al presidente di Ama Senegal, infatti, lo scorso 28 luglio era stata notificata un’interdizione all’espatrio da parte della Divisione investigazioni criminali della capitale del Paese africano. La Dci, a quanto racconta il quotidiano di Dakar Il Est Midi, aveva appena terminato di ascoltare la versione del dirigente della spa capitolina in merito a contestazioni su assegni a vuoto per 15 milioni di Franchi Cfa, pari a circa 23mila euro, dovuti ad alcune imprese. Moretti avrebbe integralmente saldato il debito subito dopo l’audizione e poi, quel giorno stesso, il numero uno di Ama International e Ama Senegal avrebbe fatto i bagagli e levato le tende, rientrando in Italia nonostante l’espresso divieto. Ed era già a Roma secondo il quotidiano quando, pochi giorni dopo, gli ufficiali della Divisione investigazioni criminali hanno tentato di notificargli una seconda convocazione per altri assegni a vuoto venuti alla luce, per un totale di 100 milioni di franchi senegalesi (circa 150mila euro).
Insomma, in quello che la stampa locale chiama «lo scandalo Ama Senegal» i colpi di scena non mancano: quello che è certo è che il contratto tra l’Ama e il governo senegalese (ma negli ultimi mesi sono subentrate come controparte dell’azienda italiana le comunità urbane di Dakar e Rufisque), bruscamente interrotto, ha ormai provocato un pasticcio piuttosto imbarazzante: la «fuga» di Moretti aggiunge alla storia un tocco da vero intrigo internazionale. La stampa senegalese si interroga su come abbia potuto lasciare il Paese, e ipotizza che sia rientrato in Italia grazie all’aiuto di un complice che gli avrebbe permesso di varcare il confine «di straforo», nonostante l’interdizione.
Di certo la storiaccia è lungi dall’essere risolta. Ancora due giorni fa le Soleil, un altro quotidiano del Paese africano, ha reso noto che secondo le stime delle autorità comunali di Dakar le perdite annuali della città provocate dal mancato servizio di raccolta rifiuti da parte di Ama Senegal ammonterebbero a due miliardi di Franchi Cfa, all’incirca tre milioni di euro, che crescono fino a 15 milioni di euro se moltiplicati per i cinque anni nel corso dei quali, secondo la controparte senegalese, Ama International sarebbe stata negligente o del tutto inadempiente al contratto che la impegnava nella raccolta e trattamento dei rifiuti. Una cifra che peraltro è un mero calcolo contabile del 250mila euro mensili (170 milioni di franchi senegalesi), ed è in programma la costituzione di un tavolo di concertazione tra lo stato Centrale e il Cadak-Car (le comunità urbane di Dakar e Rufisque) che si sono passate la gestione dello sfortunato contratto per fare il punto sugli ammanchi e le perdite nelle due fasi di gestione per i quali chiedere rimborso all’Ama.
Parole pesanti anche dal ministro dell’Ambiente Thierno Lo, che in un’intervista concessa a Le Quotidien accusa la pendice africana della spa del Campidoglio di non aver impiegato la logistica necessaria, lesinando sui mezzi, non pagando i suoi concessionari, emettendo assegni in bianco. Secondo l’esponente dell’esecutivo, in generale i mezzi utilizzati non sarebbero stati adatti al lavoro richiesto, oltre a essersi verificate irregolarità nelle fatturazioni «fatte sulla base di stime» delle quantità di rifiuti raccolti. L’accusa è chiara: anche dopo il tentativo di ricomporre il rapporto in seguito alla prima rottura del contratto, secondo il ministro, Ama avrebbe dimostrato di non saper rispettare i suoi impegni, «non utilizzando i mezzi messi a sua disposizione per effettuare il lavoro».

E da Roma continuano a latitare i commenti.

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