da Milano
Una condanna tripla rispetto alle richieste del pm nei confronti di due ex funzionari di Banca Intesa e un risarcimento record a favore dell'autorità di vigilanza sulla trasparenza del mercato. Così si è concluso ieri, davanti ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano, il processo nei confronti di Guido Caprini e Alberto Varisco accusati di aggiotaggio manipolativo per una serie di operazioni in Borsa effettuate a fine dicembre 2001, allo scadere dell'ultima seduta dell'anno.
I manager sono stati condannati a due anni di reclusione (pena sospesa e non menzione della condanna) e a 20mila euro ciascuno di pena pecuniaria. Ma soprattutto al risarcimento in solido tra loro di 6 milioni di euro a favore di Consob, parte civile nel processo, i cui legali avevano chiesto la liquidazione di 30mila euro per i danni patrimoniali, lasciando ai giudici il compito di quantificare i danni morali e di immagine subiti dall'autorità «in quanto istituzione garante della trasparenza e della correttezza delle operazioni sul mercato della Borsa», come ha spiegato in aula l'avvocato Emanuela Di Lazzaro.
Il collegio ha calcolato in quasi 6 milioni di euro, una cifra record in Italia, il danno causato al mercato. Secondo le indagini attraverso una serie di ordini di acquisto e vendita incrociati riguardanti i «warrant-put Intesa Bci ordinarie», nell'ultima seduta di borsa, e fino all'asta di chiusura, veniva messa in atto, con «operazioni simulate e altri raggiri», «una sensibile alterazione del prezzo ufficiale» di tali titoli «che registravano, tra volumi molto elevati, una diminuzione del 5,73% rispetto al prezzo ufficiale del giorno precedente malgrado la sostanziale immobilità del titolo azionario sottostante (Intesa Bci ordinarie)».
Il fatto fu commesso «al fine di manipolare il prezzo ufficiale del warrant, nell'ultima seduta dell'anno e quindi dell'esercizio 2001, il cui esatto valore a quella data avrebbe determinato l'ammontare complessivo, da imputare al conto economico di Intesa Bci, degli oneri straordinari».
La diminuzione del valore dei warrant, quindi, sempre secondo l'accusa, «consentiva a Intesa Bci di iscrivere minori oneri a bilancio in una misura compresa tra i 22 e i 70 milioni circa di euro», con «un incremento dell'utile compreso tra il 7 e il 26,3%».
Laccusa aveva chiesto in aula, oltre a una condanna a otto mesi per i due imputati, anche la confisca di 50 milioni nei confronti dell'istituto bancario come soggetto che avrebbe beneficiato del reato commesso. Intesa avrebbe infatti potuto iscrivere a bilancio utili superiori a quelli calcolati sulla base del prezzo non manipolato. La richiesta non è stata però neppure menzionata nel dispositivo.
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