Analisi Quelle tute blu guidate più dal Papa che dalla Cgil

Ieri gli operai della Fiat sono tornati a scioperare, sia pure con risultati non clamorosi negli stabilimenti del Nord. Si ha l’impressione che alla loro testa vi siano più Benedetto XVI e Claudio Scajola che i sindacalisti, specialmente quelli smarriti di Fiom e Cgil. Sindacalisti, questi ultimi, sempre più immersi in una lotta congressuale non priva di tratti misteriosi, in cui riformisti (per esempio Nicoletta Rocchi, già pragmatica leader dei bancari cigiellini) si alleano trasversalmente con estremisti (tipo lo stralunato Gianni Rinaldini, capo dei metalmeccanici della Fiom) per motivi non chiarissimi legati a elucubrazioni sulla «democrazia sindacale».
Una situazione, in cui quello che ricopre il già mitico incarico di «segretario nazionale» della Confederazione generale italiana del lavoro conta più sui pensionati che sui lavoratori attivi. In cui Susanna Camusso, l’erede designata da Guglielmo Epifani, ma con scarse probabilità di farcela, ha già iniziato, prima del congresso, la lotta all’interno della maggioranza accusando i chimici della Cgil (la più grande categoria di lavoratori attivi schierata con Epifani, visto che i meccanici, il pubblico impiego e i bancari stanno con la «minoranza») di avere fatto un contratto nazionale che tradisce la linea della casa. Sono i giorni questi in cui i dipietristi del quotidiano Il Fatto sbertucciano la Cgil dicendo che ormai solo l’Italia dei valori difende ancora i lavoratori. E un giornale amico della Cgil, come Il Riformista, scrive che Epifani per salvarsi prima del congresso implora dall’esecutivo un impegno generico sulle pensioni per ritirare uno sciopero proclamato elettoralisticamente per un’improvvisata riforma fiscale, e destinato a fallire come tutte le «sfide epifaniane» al governo da un anno a questa parte. In questi giorni, di fronte a qualche arroganza di troppo della Fiat (derivata in parte dai pasticci combinati dai vertici istituzionali più che manageriali della impresa torinese sempre con la Cgil), i lavoratori sembrano guardare maggiormente al governo Berlusconi che al grande sindacato che fu dei Lama e dei Di Vittorio.
E molta autorità morale la esercita un Papa come Benedetto XVI che ben lungi dal volere interferire su attività economiche precise, non esita però a richiamare i risvolti morali delle vicende che riguardano il lavoro concreto degli uomini. D’altra parte con l’enciclica Caritas in veritate si è descritta la fine di una concezione della lotta sindacale centrata sulla «lotta di classe» e a essa si è spiegato come stia e debba subentrare uno stile di confronto e corresponsabilizzazione tale da offrire un quadro di speranza a chi vive del proprio lavoro.
E non è un ideale astratto. È così che si comporta la Uaw, sindacato dell’auto americano, capace di trattare con la Casa Bianca e lo stesso Lingotto sulla compartecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda, di rilancio produttivo anche con le necessarie chiusure di stabilimenti improduttivi.

Esattamente quello che si dovrebbe fare in Italia e quello che Cisl e Uil stanno facendo in sempre più numerose occasioni, impostando una nuova stagione di sindacalismo basato su corresponsabilizzazione, decentramento, enti bilaterali per la gestione dei problemi del lavoro: i tanti contratti nazionali firmati in questi mesi, senza la Cgil o con settori ragionevoli di questa, hanno tale logica. E questa può prevalere, superando qualche inutile intolleranza di , anche alla Fiat.

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