Cè sempre bisogno di tempo per misurare gli effetti politici di un'iniziativa della magistratura. Ma è già visibile quanto, all'interno del perimetro colpito dalla tempesta, sia il principale partito dell'opposizione a soffrire pesantemente della condizione in cui si è trovato. È una condizione inedita per la Quercia la quale, con il caso Unipol, è stata proiettata al centro dell'intreccio tra politica e affari, cioè uno degli argomenti-chiave dell'iniziativa della sinistra nel bipolarismo. Ed è stata anche costretta a pagare subito il prezzo dei titoli di prima pagina che hanno mescolato il nome di Massimo D'Alema a quello di altri esponenti politici. E dire D'Alema significa dire non solo un leader, non solo una corrente, ma i Ds.
Non è dunque troppo presto per chiedersi se si stia aprendo uno scenario in cui la maggiore forza dell'Unione, dovrà misurarsi con un indebolimento del rapporto con il suo «zoccolo duro», con l'opinione pubblica in generale e con i suoi alleati, a cominciare dalla Margherita, particolarmente conflittuale dal momento in cui è stato indagato Consorte. Che significa l'indebolimento di una forza decisiva, per di più nella prospettiva di cui il centrosinistra è generalmente convinto di un ritorno al governo del Paese.
In particolare, il coinvolgimento dell'Unipol e i dettagli che riguardano D'Alema possono essere destinati a mettere in seria difficoltà quell'area che ha al centro della sua visione un forte potere dell'iniziativa politica. Basta ricordare le polemiche, anzi i veri e propri sbarramenti degli anni passati, le accuse sommarie espresse con la parola «inciucio». Cioè la ricerca di soluzioni concordate sugli assetti e sugli equilibri decisivi per la gestione di una società particolarmente complessa, in una democrazia dove contano non solo le rappresentanze elettive. Qui c'è il primo interrogativo. Certo, è un'area dalla storia contraddittoria, in cui a scelte dettate dal realismo si sono alternate fughe ideologiche e cavalcate massimaliste.
Ma, se le conseguenze dell'azione della magistratura dovessero penalizzare la Quercia, con la sua ramificata struttura di potere, mettendone in discussione l'immagine della «diversità», sarebbe imprevidente non chiedersi come sarebbero riempiti quegli spazi vuoti che si aprirebbero. E chi ne trarrebbe vantaggio, all'interno di uno schieramento che abbraccia un universo composito dalle visioni no-global, alle pulsioni neo-giustizialiste fino a zone moderate. O come si configurerebbe quella costruzione del «partito democratico» avviata sull'onda di emergenze - a cominciare dal potere di Prodi, sancito con le primarie - più che su un reale processo di convergenza.
Non è facile configurare degli scenari, se non altro perché sappiamo che i colpi inferti dalla magistratura alla politica possono avere effetti molto diversi. Non ci sono solo i traumi. Al rischio di un indebolimento si può rispondere anche - ed è ciò che sta avvenendo in questi giorni nella Quercia - con un arroccamento, fino ad una scelta di sopravvivenza contraddistinta dalla subalternità agli altri poteri, che definiscono una democrazia, come la finanza, l'industria, la comunicazione, per non parlare appunto della magistratura.
Le incognite sono molte e pesanti per una sinistra convinta di essere sulla soglia di Palazzo Chigi e alle prese con una vicenda giudiziaria che ne può cambiare gli assetti.
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