Anche Bruxelles ci manda in recessione

Anche Bruxelles ci manda in recessione

Accostare la parola recessione all’Italia non è certo una novità. Dal governo Monti al Fondo monetario internazionale, dalla Confindustria a Bankitalia, abbiamo già sentito lo stesso “verdetto“, declinato in modo più o meno severo. Non sorprendono dunque le stime, peggiorate rispetto allo scorso autunno, con cui la Commissione europea prevede per il 2012 una contrazione del nostro Pil pari all’1,3%, frutto di una flessione dello 0,7% nel primo trimestre, dello 0,2% tra aprile e giugno e di una crescita pari a zero nella seconda metà dell’anno. Ancor meno sorprendenti appaiono le cause di una decrescita che colloca l’economia italiana al terzo posto nella classifica dei peggiori, preceduta solo da un malato terminale come la Grecia (-4,4%) e dal Portogallo (-3,3%), nazione in odore di nuovi aiuti internazionali.
Il nostro è un Paese che non cresce perchè non consuma, nè investe, in una sorta di paralisi collettiva che ha colpito famiglie e imprese. Manovre su manovre, in nome di quel rigore invocato ieri dal commissario Olli Rehn («È essenziale che le misure di consolidamento finora adottate siano pienamente implementate»), hanno vieppiù prosciugato le spese private, peraltro già tagliate dalla teoria di rincari e dagli alti livelli di disoccupazione. Quanto alle aziende, l’incertezza sulle prospettive economiche finisce per esacerbare le strozzature del credito denunciate sabato scorso dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Il rigore costa, insomma. Tanto è vero che negli Usa Mitt Romney, il rivale di Obama nella corsa alla Casa Bianca, punta proprio sui tagli alle tasse. E, oltre a eliminare l’Alternative Minimum Tax, un’aliquota minima imposta a tutte le persone fisiche e giuridiche, ha proposto di ridurre l’imposta personale sul reddito di tutti gli americani.
Quanto a noi, le somme sono così tirate dalla Commissione Ue: contrazione dei consumi, con conseguente caduta delle importazioni, e decrescita collocata appunto all’1,3%. Il Pil reale nel 2012 dovrebbe essere dunque circa il 6% inferiore rispetto al 2007, anno d’inizio della crisi dei mutui sub prime. Non consola il fatto che l’intera Eurolandia è afflitta da una mild recession (-0,3%). Anche perchè l’Irlanda (+0,5%), che l’anno scorso aveva chiesto e ottenuto l’intervento del fondo salva-Stati Efsf dopo una disastrosa crisi bancaria, farà meglio di noi. Magra consolazione, la vicinanza alla Spagna (-1,0%), il Paese a cui l’Italia in questa interminabile crisi dell’Euro è sempre più accomunata nella percezione dei mercati e nell’altalena degli spread.
Rehn ha però parlato di un rallentamento «moderato» e «temporaneo» nell’euro zona. Eppure, nel caso del nostro Paese, perfino la stagnazione prevista nel secondo trimestre è legata a una variabile difficile da interpretare in anticipo come lo spread. Se il differenziale tra i Btp e i Bund «rimarrà stabile intorno ai 370 punti - spiega la Commissione Ue - e se non ci sarà ulteriore deterioramento della situazione sui mercati finanziari», allora da giugno a dicembre l’Italia non finirà sotto la linea di galleggiamento.

Bene: ieri lo spread si è mantenuto in “zona di sicurezza“ a quota 360, ma certo non si può dire che le tensioni sui mercati siano rientrate dopo il salvataggio di Atene. Gli interrogativi sul destino della Grecia permangono, e ieri le trimestrali non del tutto confortanti di banche e assicurazioni hanno provocato chiusure negative nelle Borse (-1,5% Milano).

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