Anche in Europa la sinistra è in guerra Contro se stessa

Sono battaglie, lotte intestine, guerre fratricide quelle che i socialisti combattono in mezza Europa. Dalla Gran Bretagna alla Spagna, passando per la Francia, la conquista della leadership interna indebolisce i partiti.
Nel Regno Unito si è cominciato a votare mercoledì, dopo mesi di scontri. Ma soltanto il 25 settembre, al congresso di Manchester, si saprà il nome di chi guiderà i laburisti. La campagna interna ha rivelato agli elettori un movimento incline alla faida. E con l’avvicinarsi del voto, ha scritto il Daily Telegraph, la battaglia si è trasformata «in guerra civile». Al centro degli scontri, due fratelli: David ed Ed Miliband, 45 e 41 anni. La loro rivalità- spiega il quotidiano - «minaccia di creare un’importante divisione tra sostenitori del New Labour e tradizionalisti». Figure di spicco vicine all’ex primo ministro Tony Blair sostengono David Miliband. Il «principe delle tenebre», il potente Lord Mandelson, ha detto che l’elezione di Ed significherebbe il fallimento del Labour alle prossime elezioni. E anche per l’ex spin doctor di Blair, Alastair Campbell, il giovane non può competere contro il primo ministro conservatore David Cameron. Ed però conta sul voto dei sindacati, che minacciano di bloccare i finanziamenti al partito in caso di vittoria del fratello.
La battaglia non si combatte soltanto tra i due Miliband. Ci sono altri aspiranti al trono: l’ex ministro della Sanità Andy Burnham, la prima donna di colore a sedere a Westminster, Diane Abbott, l’ex fedelissimo di Gordon Brown, Ed Balls, che dice, stufo: «Basta con la soap opera dei Miliband».
Non si può parlare di soap opera in Francia, ma quello che sta succedendo all’interno del partito socialista nazionale è uno spettacolo dalla trama intricata in cui recitano molti personaggi che aspirano al ruolo di protagonista. L’uno ai danni dell’altro. L’ultimo colpo di scena è arrivato pochi giorni fa: all’université d’été, appuntamento annuale del partito a La Rochelle, sulla costa atlantica. Gli elefanti del movimento rosa hanno ribaltato le aspettative e mostrato al Paese compattezza, unità e grandi sorrisi. Il segretario generale Martine Aubry e la ex candidata presidenziale Ségolène Royal, in passato protagoniste di scontri dai quali l’intero partito è uscito ammaccato, hanno sottolineato i loro comuni intenti davanti alle telecamere. E così hanno fatto gli altri vertici del Ps: François Hollande, ex compagno ora rivale di Royal, i più giovani Manuel Valls e Pierre Moscovici e altri ancora. Il grande assente «onnipresente», come è stato definito da Paris Match, è stato Dominique Strauss-Kahn, DSK, capo del Fondo Monetario Internazionale, politico più popolare di Francia, nonostante viva a Washington. Hanno tutti la stessa ambizione: vincere le primarie del 2011 e presentarsi alle presidenziali nel 2012. L’inno all’unità però non ha convinto: «Dietro la facciata, resta la sfida delle presidenziali», ha scritto il Monde. «È un armistizio provvisorio», spiega al Giornale David Revault d’Allonnes, giornalista di Libération che ha appena pubblicato un libro sul Ps dal titolo rivelatore: «Petits Meurtres Entre Camarades», piccoli omicidi tra compagni. «È vero, alla Rochelle i socialisti hanno presentato una bella foto di famiglia, ma è difficili credere che duri. Si entra nella campagna per le primarie, scorrerà altro sangue».
Un primo colpo di scena era già arrivato con la pubblicazione dell’ultimo sondaggio del Nouvel Observateur: se si votasse oggi, non soltanto DSK batterebbe il presidente Nicolas Sarkozy (con un ampio 59%), ma anche Aubry, con il 53. E «tra Aubry e DSK comincia la guerra segreta», spiega il Figaro. Eppure, mette in guardia Revault d’Allonnes, il rafforzamento dei socialisti «è dovuto più alla debolezza della destra di Sarkozy che all’attività del Ps». La riapertura delle ostilità interne rischia di compromettere la forza ritrovata. E gli ultimi dati rivelano già che in agosto il presidente è risalito nei sondaggi di due punti.
L’atmosfera di guerra intestina ha contagiato anche il partito socialista spagnolo di José Luis Rodríguez Zapatero, che ha deciso di indire primarie per scegliere il prossimo candidato alle elezioni della regione di Madrid, l’anno prossimo. Il leader del gruppo nell’area, Tomás Gómez, ha rifiutato di farsi da parte quando il premier gli ha chiesto di cedere il passo al ministro della Sanità, Trinidad Jiménez. Si andrà dunque alle urne.

Fa notare l’Economist come «l’atto di sfida di Gómez» sia la prova della perdita di controllo di Zapatero sul suo partito socialista che, come altri colleghi europei, rischia di indebolire, con le faide interne, le proprie chance a livello nazionale.

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