Anche l’opera d’arte

«E se fosse nella pausa e non nel fischio il significato del messaggio? Se fosse nel silenzio che i merli si parlano?». Il silenzio rumoroso, o il rumore silenzioso, questo è il problema, che Calvino affronta in maniera molto poetica in Palomar.
Questione che forse per la prima volta viene affrontata sul doppio fronte della parola (la poesia) e dell’immagine (quadri o video) dalla splendida mostra (catalogo Electa) allo spazio Oberdan dal titolo «Rumore: un buco nel silenzio» (fino al 25 maggio). La collettiva ha una storia lunga perché arriva dal Belgio: «La mostra è stata pensata per la ventisettesima edizione del festival di poesia di Watou, nelle Fiandre - racconta il curatore Giacinto Di Pietrantonio - cui sono stato invitato la scorsa estate a partecipare dal poeta fiammingo Gwy Mandelick, ideatore e curatore del festival. Il tema, ogni anno diverso, viene scelto da Mandelick e coinvolge la sfera della poesia e dell’arte: l’idea viene poi tradotta in una mostra in cui le opere d’arte visiva dialogano e si confrontano con i testi poetici che compaiono stampati sulle pareti, recitati negli ambienti, evocati. Il tema quest’anno era appunto “Rumore: un buco nel silenzio”».
Il percorso espositivo, in effetti, ricalca la struttura del linguaggio, formato da pieni e vuoti, parole e silenzi, che a loro volta possono essere comunicativi o meno: il curatore, già direttore della Galleria di Arte moderna di Bergamo, ha accostato opere mute a opere rumorose, in un sottile contrasto di significati e analogie. Un lungo dialogo dunque si snoda tra gli spazi candidi dello spazio Oberdan attraverso video, installazioni e sculture. Nella sala principale il pianoforte capovolto su una pila coloratissima di stoffe insonorizzanti di John Cage dialoga in rigoroso silenzio con quello modificato di Filippo Tommaso Marinetti: al posto dei pedali scarpe con tacchi a spillo e uno scopino per togliere la polvere abbandonato sulla tastiera trasformano così lo strumento in mobile d’uso quotidiano da appoggiare in un angolo e spolverare ogni tanto. In silenzio girano vorticosamente le trottole di Miguel Angel Rios di Tepozlan, la città messicana dove si svolge il campionato di trottole, avvolte dai versi, silenziosamente rumorosi, di Antron Korteweg: «I sani sono. Non devono scriversi. Non parlano nemmeno con se stessi sono come chi corre sulla spiaggia, che è vuota e loro». Dicono molto più di tante parole le rughe e i calli della mani dei lavoratori disoccupati di Melik Ohanian, esattamente come le rughe e gli sguardi degli albanesi seduti su una scalinata, con la colonna sonora dei generatori che tengono accese le lampadine strette in mano.
Così la risata fragorosa di Lara Favaretto («Una risata vi seppellirà» - omaggio a De Dominicis) si spande in anarchia per gli spazi, bucando il silenzio della stanza attigua ricoperta da ritratti celebri di re, duca e signori sorridenti nell’elaborazione di Diego Perrone. Ancora, un filmato dove delle mani compongono nel linguaggio dei segni il discorso finale che Chaplin fa nel Dittatore, un discorso mai udito da nessuno essendo il film muto.

Un ultimo paradosso per chiudere il circolo virtuoso silenzio-parola, pieno-vuoto, significato-assenza di significato, che è il linguaggio. Muto o parlato che sia.
Rumore: un buco nel silenzio
Spazio Oberdan
via Vittorio Veneto 2
fino al 25 maggio
tel. 0277406300

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