
Gail, ex insegnante di matematica, lavora in una scuola come assistente della direttrice. Da anni si è separata dal marito Max, eppure lui si presenta a casa sua all'improvviso, con una gatta al seguito. Il fatto è che, il giorno dopo, ci sarà il matrimonio della loro figlia Debbie, e Max avrebbe dovuto alloggiare da lei, ma il futuro marito è allergico ai felini... Così, Gail e Max si ritrovano a trascorrere insieme Tre giorni di giugno, a cavallo delle nozze di Debbie; nozze che, a scanso di equivoci, sono tutto l'opposto di quelle dei Bezos a Venezia, sebbene cadano nello stesso mese e durino per l'appunto tre giorni. E sono l'opposto per un motivo semplicissimo: Tre giorni di giugno (Guanda, pagg. 188, euro 18) è il nuovo romanzo di Anne Tyler, la regina dell'understatement come forma d'arte. Nel suo caso, portata a livelli di perfezione, come dimostra questo libro, il venticinquesimo in sessant'anni di carriera sempre il più lontano possibile dai riflettori, nonostante un Pulitzer (nel 1988, per Lezioni di respiro).
Giusto in occasione dell'uscita del romanzo negli Stati Uniti, a 83 anni Anne Tyler ha rilasciato una rara intervista al New York Times, dove racconta di abitare ormai da tre anni in una residenza per anziani (è vedova dall'età di 55 anni dell'amato marito, lo psichiatra iraniano Taghi Mohammad Modarressi, con cui ha avuto due figlie); qui, la scrittrice non si distrae con la piscina o le ceramiche bensì, come sempre, scrive. Ogni mattina, a mano, dopo avere fatto una camminata. Poi, se ha buttato giù qualcosa che valga la pena, lo ricopia al computer. Come fa? "Scrivo pagina uno, capitolo primo, evento numero uno, e vado avanti". Understatement.
Anne Tyler disse, durante il lockdown, di esserci vissuta per decenni, in isolamento. Ma poi l'isolamento lo interrompe nella scrittura, in quel collegamento speciale che instaura con i suoi personaggi, così apparentemente ordinari e però adorabili, come Gail e Max. E nel raccontare le loro avventure, che non sono affatto avventure nel senso letterario del termine, perché non c'è nulla di eclatante o straordinario in esse: sono vicende quasi banali, comunissime (due ex coniugi che si rivedono per il matrimonio della figlia) ma narrate con tanta attenzione al dettaglio e tanta vicinanza umana, che diventano rivelatrici. Per dirlo con le sue parole, spiegando perché non si occupi di saggi e recensioni letterarie (non insegna nemmeno, non è sui social, non tiene conferenze): "Quando scrivo un romanzo, e sono davvero immersa in esso, all'improvviso sento come se stessi dicendo la verità. Quando scrivo non fiction, scrivo cose in cui credo totalmente, e sembrano delle bugie".
Da decenni raccoglie frasi e osservazioni su dei foglietti e da sempre ambienta i suoi romanzi a Baltimora. Tre giorni di giugno non fa eccezione.
Con la sua trama quasi insignificante e la sua distanza abissale da qualsiasi slogan, fa lo stesso effetto di un giallo di Agatha Christie: è impossibile da mettere giù. Perché Anne Tyler è elegantissima, ma tutt'altro che noiosa, e conosce il segreto per farci sorridere e sognare.